LA VOCE CHE SI SPARSE
Capolavoro mancato
Sonetti, Madrigali, Odi
LA VOCE CHE SI SPARSE è una silloge di sonetti, madrigali, odi, che compone un unico poema in due parti. Questa registrazione del testo intende qualificarsi come “scrittura per voce“, intendendo per “incisione magnetica” qualcosa di simile alle incisioni cuneiformi degli antichi Inni che, in fondo, cercavano di fissare la voce e non lo scritto, nel senso che la parola incisa sulla pietra non era scopo in sé, ma fatto funzionale al fine di “ricordare ciò che va detto“. Nel nostro tempo, più che “ricordare”, scopo di questi testi incisi per voce è piuttosto “dimenticare la quotidianità“, condizione essenziale per entrare nei luoghi segreti dell’anima. Coerentemente a questo obiettivo, la prima sezione del poema è costruita proprio con lo scopo di far intraprendere, a chi vorrà dar attento ascolto, la strada per questo altrove: un lento distaccarsi dalle preoccupazioni di ogni giorno attraverso i chiaroscuri di un linguaggio che si carica di luci e di ombre. Questa prima sezione, dal titolo “Domande senza risposta“, si compone di otto brani. Il primo è un sonetto caudato, segue un alessandrino anacoluto, indi procedono sei sonetti e un madrigale. I testi non sono incomprensibili, ma non sono punto adatti a farsi accompagnamento di altre attività. L’ascolto distratto, trattandosi di poesia, equivale a non-ascolto. Ogni brano richiede dedita attenzione, concentrazione e un volume brillante.
PARTE PRIMA:
DOMANDE SENZA RISPOSTA
Sonetto caudato, metro ABCA BDCD FCF EEA
Anacoluto in 20 settenari doppi e uno spaiàto
Sonetto in endecasillabi sciolti
Sonetto, metro ABAB CCDD AED EEA
Sonetto, metro AABB CBAB DBD CDB
Sonetto, metro ABCA ABCD CEE EAC
Sonetto, metro ABBC ADDE CFC GHI
Sonetto, metro ABAB CDCD EFE FGF
Madrigale, metro AbC aCd eE
La seconda parte de LA VOCE CHE SI SPARSE procede sul tema del mancare a sé stessi inteso come evanescenza del presente e del continuo negarsi dell’ “io sono” che già è stato e già non è più, per tentare l’approdo ad un porto sepolto, inabissato e inaccessibile, dove l’acqua è fuoco e la parola evapora nell’indicibile, ciò che non è permesso: il sublimare. Il tentativo del sacro lambisce la teologia e per repulsione se ne ritrae trovando riparo in quel confine obliquo dove l’oggetto della celebrazione non è il misticismo del dogma ma l’antropologia della coscienza che si genera a sé stessa nell’intuizione semplice di un pastore che, volgendo in alto lo sguardo, tra le stelle vede una forma d’uomo e immagina un dio destinato a divenire genitore di religioni bambine, sia quando pretendono l’assoluto bene che quando si trasformano nei simboli di un assoluto male: entrambi non sono e cedono posto a una Grande Madre che si dissolve nella notte di questo essere generato al non-essere e di cui, dopo aver amato oltre il possibile, non resta null’altro che lo spargimento di ceneri che un tempo furono fuoco e si consegnano al mare, dove sorge il sole.
PARTE SECONDA:
ARDERE E CREPITARE
Sonetto, metro ABAB CCDD EFE CFE
Metro: AbA CbC dd
Quattro coblas di sette versi, di cui una caudata, e due distici in chiusura, endecasillabi e settenari
Cinque coblas di sette versi, in ottonari
Madrigale che s’innesta in ode-canzone, endecasillabi e settenari
Madrigale, metro ABa Cbc dd