Sette contro Tebe

Successo al Teatro Antico di Catania. I Sette contro Tebe, tragedia di Eschilo sul tema della guerra, purtroppo estremamente attuale. La soluzione stilistica prescelta dalla regista, Cinzia Maccagnano, non cade nella tentazione di farne una lettura al presente, nessuna equazione Kiev=Tebe, nessun cedimento a una retorica di ciò che non sappiamo fino in fondo.

Al contrario, ciò che sviluppa è il canone universale delle leggi della coscienza, di cui questa tragedia pone in analisi il tema centrale della causa profonda di ogni conflitto, che è la divisione interna. Eteocle e Polinice (ben interpretati rispettivamente da Massimo Nicolini e Massimo Di Michele) sono i figli di Edipo, di cui continua l’oscura tragica nemesi cominciata con Laio, che di Edipo era il padre. Mentre l’assedio esterno infuria come un irreale incubo, finiranno con l’uccidersi vicendevolmente.

I costumi di Vincenzo La Mendola, che portano in scena Eteocle in rosso e Polinice in verde, segnando i colori complementari del fuoco, bene suggeriscono il quadro psicologico di queste due anime troppo simili e troppo umane per far prevalere l’amore sull’odio, la ragione sull’istinto, il desiderio di armonia sulla sete di vendetta, la comprensione dell’altro sulla smania di potere.

Il lavoro di tessitura interna svolto dal coro delle donne (Alessandra Salamida, Rita Abela, Maria Chiara Pellitteri, Gaia Bevilacqua, Ginevra Di Marco, Valentina Ferrante) trova una gemma nei momenti in cui le parole trasvolano in canto lirico, con la voce di Giulia Diomede che impreziosisce la partitura e innalza la risonanza interna di empatia del pubblico.

Quando un lavoro è ben fatto, anche i ruoli minori rilucono: così l’endiadi Messaggero/Araldo nell’interpretazione, rispettivamente, di Alessandro Romano e Alessandro Mannini (un doppio Alessandro come, curiosamente, il doppio Massimo dei complementari Eteocle/Polinice) ed anche l’Horkos di Salvo Lupo – la cattiva coscienza costretta a narrare fatti di guerra e lacerazioni interne.

C’è infine da dire di una battaglia nella battaglia, di un teatro nel teatro, di un dietro le quinte del dietro le quinte: che riguarda la grande determinazione, si direbbe quasi l’ostinazione, della produzione di Michele Di Dio de I Sette contro Tebe e dell’intero Amenanos festival (di cui questa tragedia è l’apertura). Riguardata sotto questa inquadratura, in questa vicenda c’è tutta la storia millenaria di un teatro di cui si dubitava persino dell’esistenza, coperto da una coltre di case e che solo alla fine del secolo scorso è stato riportato alla luce (qualcuno ricorderà Shock in my town di Franco Battiato, per celebrare l’evento).

Il resto è tenzone di autorizzazioni tardive, inenarrabile prologo indefinito sino a due minuti prima del debutto, assenza di senso sospesa tra Kafka e Camilleri, determinazione di Malavoglia per non lasciare il teatro ad affondare in una gestione burocratica occultata dai palazzi e priva di relazioni con la città.

Il paziente lavoro svolto da Michele di Dio, di costruzione di reti e di trame con le scuole e con le istituzioni della cultura cittadina, è prezioso ed è uno strumento per la città intera che nel teatro può e deve ritrovare il suo cuore millenario.

Un’ultima nota, sotto il profilo artistico, ci induce a definire eccellente questo debutto, confermando gli standard cui Michele ci ha abituato, ricordando e bissando il memorabile Prometeo di qualche anno fa.

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