Intendiamo per Etere ciò che si intendeva anticamente, e cioè il quinto elemento, incorruttibile, che condensa e aggrega i quattro elementi (Aria, Acqua, Fuoco, Terra) che costituiscono ogni cosa, dagli oggetti materiali alle piante agli animali e persino le sfere e i corpi celesti.
Per gli antichi, l’Etere era la Quint’essenza, la forza sottile che permette agli Eoni di manifestarsi. Lo spazio siderale, il vuoto tra una stella e l’altra è un vuoto apparente, in realtà tenuto insieme dalle correnti sottili dell’Etere che, come un nastro, avvolgono tutto nel tutto.
Nel 1887 questa conoscenza subì un colpo durissimo con il cosiddetto di Michelson e Morley, da cui si trassero considerazioni per negare l’esistenza dell’Etere.
Il punto di partenza era il generale assunto che le onde dovessero avere un mezzo che consentisse la loro propagazione nello spazio, una sostanza invisibile chiamata etere luminifero.
La tesi
Si trattava di conciliare l’elettromagnetismo delle equazioni di Maxwell, con il sistema di Galileo. La tesi era che ogni corpo in movimento nell’universo dovesse produrre un vento e che ogni movimento sarebbe stato influenzato dal relativo vento, compreso il movimento della luce.
L’esperimento
Albert Abraham Michelson decise di misurare la velocità della luce in diverse direzioni usando uno strumento da lui stesso ideato, detto interferometro, dotato della capacità di suddividere un fascio di luce in due fasci che viaggiano seguendo cammini perpendicolari. Questi di distinti fasci vengono poi nuovamente fatti convergere su uno schermo formandovi una figura, detta appunto di interferenza.
L’eventuale diversa velocità della luce nelle diverse direzioni sarebbe stato la prova dell’esistenza del vento e quindi dell’Etere.
Michelson effettuò un certo numero di misure, senza mai rilevare differenze rispetto allo spostamento minimo di soglia previsto delle frange di interferenza. L’esperimento fu ripetuto con Edward Morley, che mise a disposizione un interferometro montato su una lastra di pietra quadrata di 1.5 m di lato e circa 30 cm di spessore, la cui lastra galleggiava su mercurio liquido, girando senza attrito e senza deformazioni. Anche in questo caso il risultato atteso non giunse.
Esiti dell’esperimento
Da questi risultati venne dedotto che la velocità della luce non è condizionata dal moto della sorgente e dalla posizione dell’osservatore, considerandoli come prova dell’isotropia dello spazio.
Corollario di questa testi fu l’asserto che non sarebbe necessaria l’esistenza dell’etere. Solitamente viene aggiunto che questo sarebbe il principale contributo della teoria generale della relatività ma, come riporta Aeteres.com, la relazione di Einstein con l’etere fu complessa e mutò radicalmente nel tempo:
- In un primo articolo del 1905 scrisse: “L’introduzione di un ‘etere luminifero’ si rivelerà superflua”
- Nel 1920, dopo aver sviluppato la teoria della relatività generale mutò: “Una più attenta riflessione ci insegna che la teoria speciale della relatività non ci costringe a rifiutare l’etere”
- Anche se Einstein non rinunciò mai al tentativo di eliminare l’etere elettromagnetico in un articolo successivo alza bandiera bianca e scrive: “Lo spazio senza etere è INCONCEPIBILE, dal punto di vista della teoria generale della relatività. Questo perché in un tale spazio non solo non vi sarebbe propagazione della luce, ma nemmeno la possibilità di regoli e orologi e pertanto non vi sarebbero distanze spaziotemporali in senso fisico”
In attesa di nuove teorie
Si potrò primariamente criticare l’impianto teorico dell’esperimento che ha condotto frettolosamente a buttar via una conoscenza tradizionale di millenaria tradizione. Il punto critico è nel metodo: si sono attribuite all’Etere qualità fisiche come l’attrito che non sono compatibili ad una ontologia che ancora non siamo capaci di comprendere.
L’indipendenza della velocità della luce dal moto della sorgente e dalla posizione dell’osservatore nello spazio dovrebbero condurre a concepire simili qualità per l’Etere, invece che negarlo.
L’Etere resta la sostanza sottile che lega l’universo. Questa sostanza è immateriale, di qualità elettromagnetica ma infinitamente più sottile dei quattro elementi della metafisica greca e non paragonabile con gli elementi chimici della tavola periodica.
C’è ancora molto da comprendere; per il momento siamo fermi alle relazioni degli Aethyrs nei Quattro Quadranti nel sistema della Monas Hyerogliphica di John Dee, o degli Yah-El delle oscure tavole del Libro di Ratziel.

I tentativi di avvicinare la scienza alla mistica della comprensione dell’universo sono sempre stati presenti nella storia, per il semplice fatto che gli uomini di vera Conoscenza, anche quando siano ancor più che filosofi, scienziati, non possono non farsi domande sulla natura del cosmo e delle sue leggi, anche sul piano delle implicazioni per il destino degli uomini. Sappiamo che Isaac Newton scrisse dei trattati sul libro dell’apocalisse, e sono interessanti i moderni accostamenti di Fritjof Capra delle conoscenze della fisica moderna al sapere della tradizione dei Veda, o le posizioni del matematico Pauli in rapporto alla psicologia del profondo di Jung, con il quale fu in stretto contatto. Nello specifico dell’argomento, H.P. Blavatsky osò parlare della divisibilità dell’atomo (o meglio: della riduzione dell’intero universo a vibrazione) quando il dogma (meglio: l’assioma) dell’atomo sembrava indiscutibile. E’ questo l’argomento, la riconducibilità del sapere scientifico a quello spirituale: ciò che i materialisti negano e gli oscurantisti coprono.