Vista da Sud, questa Europa ci preoccupa molto. Sul Sole24ore del 30 giugno 2013, leggendo l’articolo “Gli alchimisti della politica monetaria”, abbiamo appreso che “la politica monetaria delle Banche centrali conta ben di più delle politiche economiche dei governi”.
Recentemente, con il contributo “Forse non tutti sanno che… Bankitalia è in maggioranza di privati“, avevamo avvertito che lo scorso venerdì 31 maggio 2013 all’assemblea annuale di Bankitalia, è stato verificato che il primo azionista è oggi Banca Intesa: ciò significa che il primo azionista di Bankitalia non è lo Stato italiano, ma una banca privata.
Se questa può essere concepita come un’esigenza della modernità – e tutto sommato il nostro senso di stupore può facilmente essere surclassato dal senso della fatica di comprendere e documentarsi rispetto a conoscenze così specialistiche e complesse – prima di arrenderci anche noi ad un convenzionale “ma io cosa posso fare?” e passare alle pagine dello sport, dobbiamo però notare il dato politico, che è tutto contro il Sud.
Com’è noto, oltre i banchieri e le società di rating, ci sono i grandi intermediari del credito, che non si limitano ad un ruolo tecnico, ma influiscono sulle scelte politiche ai livelli più alti. Tra questi, due economisti del gigante finanziario americano JP Morgan (Malcom Barr e David Mackie), in uno studio dal titolo “The Euro area adjustment” del 13 maggio 2013 giungono ad intimare ai governi europei di dare luogo a riforme volte a scardinare le Costituzioni antifasciste.
Queste spinte che si autodefiniscono liberiste, stanno invece facendo avanzare scelte illiberali e reazionarie, con l’obiettivo deliberato di distruggere progressivamente il welfare state (lo stato previdenziale e assistenziale che fu la grande conquista di diritti sociali e civili del secolo scorso), che viene eroso quotidianamente a forza di spread e di altri illusionismi monetari.
Definire illusionismo questi sistemi di egemonia che permettono di condizionare le economie mondiali, anche se potrà attirare le critiche irose dei più accesi sostenitori del liberismo economico, non è affatto arbitrario: da prima che l’economia politica fosse costituita come disciplina scientifica, quando si sapeva che ricchezza è produzione (nell’ordine classico: primaria, e cioè agricola; secondaria, cioè industriale; terziaria, cioè di servizi) e che tutto il resto non è che sfruttamento.
L’economia iperfinanziarizzata del nostro tempo appare dunque come strumento di condizionamento dei rapporti di forza e di egemonia, dietro i quali si nasconde non una ragione oggettiva, ma semplicemente la dinamica pura dei rapporti di potere.
In una situazione così difficile e piena di mistificazioni, si dovrebbe tornare a proporre ragionamenti da Sud, idonei a contrastare i rapporti di forza che fanno prevalere il liberismo atlantico, possibilmente proprio a partire dalla valorizzazione di quelle risorse inalienabili, che sono la popolazione e il territorio.
Da.Cri.