C’è stato un tempo in cui Pantalone o, se preferite, Cappiddazzu, pagava tutto. Erano tempi in cui gli accordi europei di Maastricht sulla stabilità degli Enti ancora non c’erano. Ma anche dopo. Fino a ieri. Bastava che l’Ente Locale fosse in discreta sintonia con il Governo nazionale e, in qualche modo, “si faceva”. Fino a ieri. Da oggi è un’altra musica. Leggiamo il comunicato ANSA:
(ANSA) – CATANIA, 7 NOV – Le sezioni riunite della Corte dei Conti hanno rigettato il ricorso del Comune di Catania contro la delibera n.153 del 4 maggio 2018 con cui la sezione controllo della Corte dei conti della Sicilia ha decretato il dissesto economico-finanziario dell’Ente. Secondo i giudici contabili il ‘buco’ sarebbe di circa 1,6 miliardi di euro e non ci sarebbe la sostenibilità finanziaria per gestirlo.
Cosa si può dire in merito? La risposta facile sarebbe: «Ma dov’è stata la Corte dei Conti fino a ieri? Perché è stato consentito che la situazione degenerasse a tal punto?» L’abbiamo già sentita. Ed è abbastanza ovvia. Se vogliamo guardare in fondo, però, dobbiamo vedere un’impossibilità ad agire secondo il buon senso. Nessun intervento ovvio è stato fatto. In quest’ovvietà, in primo luogo stanno certamente le dismissioni dei fitti passivi di immobili dove il Comune alloca le sue attività, da realizzare mediante il contemporaneo recupero di aree di proprietà in abbandono. Non è stato fatto.
A parte quel che si può dire del Comune, a ben vedere il problema è ben più complesso e riguarda, complessivamente, l’intera classe dirigente cittadina (e non solo). Cosa dire del Palazzo delle Poste? Di Palazzo Bernini? Del palazzo dell’Acquamarcia (il nome già promette tutto)? Persino il palazzo della Federazione Italiana Consorzi Agrari è del tutto privo di gestione. Cosa ci si può aspettare in un posto che non gestisce nemmeno la sigla della Federazione?
Ci resta un’amara ironia, un po’ alla Micio Tempio. E ce ne vorrà tanta in questo tempo di ristrettezze.