Chiariamo subito che ci interessa solo l’aspetto letterario della questione: e infatti andiamo dritto a richiamare l’articolo di Leonardo Sciascia “I professionisti dell’antimafia”, pubblicato sul Corriere della Sera del 10 gennaio 1987.
Perché questo articolo? Perché, con le parole di Sciascia potremmo dire:
è curioso che nell’attuale (…) confluiscano elementi di un confuso risentimento razziale nei riguardi della Sicilia, dei siciliani: e si ha a volte l’impressione che alla Sicilia non si voglia perdonare non solo la mafia, ma anche Verga, Pirandello e Guttuso.
E, potremmo aggiungere, viste le celebrazioni ma anche le polemiche che ne hanno accompagnato la dipartita, Camilleri, anche per una omologia semantica con i tre citati da Sciascia che, di certo, i conoscitori televisivi non vedranno e, forse, contesteranno in base a pregiudizi da telefilm.
Visto che la parte nobile del discorso è scivolata nelle secche, cediamo dunque a una tentazione: di commentare cioè un fatto rimosso alla coscienza collettiva, saputo e presto dimenticato. Non che ci si appassioni a una torbida vicenda così meschina, ma è necessario il tema ad aggiornare la scheda dei “professionisti dell’antimafia”
Scrive IlSole24Ore in data 3 Marzo 2015:
R. H., presidente della Camera di commercio e vicepresidente della Gesap, la società che gestisce l’aeroporto di Palermo, è stato arrestato ieri mentre intascava una tangente di 100mila euro da un ristoratore, affittuario di uno spazio dell’aeroporto, che si era rivolto a lui per la proroga del contratto.
Dimentica ilSole di ricordare che R.H., oltre ai ruoli istituzionali che ricopriva, era uno degli uomini forti della riscossa antiracket promossa dai commercianti e dagli imprenditori siciliani. Colma la lacuna IlFattoQuotidiano, (9 Ottobre 2015) che rinfresca:
R.H., nel dicembre del 2014 era entrato in polemica con G.T., responsabile legalità di Confindustria Palermo, reo di aver lanciato l’allarme: “Nel centro del capoluogo – aveva detto – ancora nove negozi su dieci pagano il pizzo”. “La mia posizione è vincente – aveva sbottato R.H. – mi vedo costretto a chiedere all’amico G.T. di smentire le sue parole: i commercianti ora denunciano”. E in effetti commercianti come P. dimostrano che R.H. aveva ragione: hanno deciso di denunciare i loro aguzzini. Solo che in questo caso si trattava d uno degli interpreti della legalità, accusati degli stessi gravissimi reati che annunciavano da anni di volere combattere.
Quindi il problema è: se l’antimafia (o meglio, parti di essa) utilizza metodi più che intimidatori, inquisitori e se al suo interno si fanno strada personaggi come R.H. e che toccano persino la gestione dei beni confiscati alla mafia, come nel caso del magistrato S.S. che, scrive il quotidiano La Sicilia (del 14 Maggio 2018):
edifica un modello di consulenze, incarichi e favori che rispondeva, dice l’accusa, più a logiche di arricchimento che a esigenze di giustizia.
A proposito, non vogliamo incattivirci sul soggetto da cui il racconto ha preso le mosse anche perché, come si vede, si parla di un sistema entro il quale il prezzo da pagare per raggiungere certe dimensioni di vertice comporta qualche rischio. Siamo lieti, al contrario, che la pena a lui destinata abbia subìto una riduzione, anche se non sapremmo dire se questo fatto sia espressione di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Limitiamoci a riportare quanto scrive NuovoSud (25 Gennaio 2018) sulla buona novella:
La seconda sezione della Corte d’appello di Palermo ha ridotto di un anno, da 4 e 8 mesi a 3 anni e 8 mesi, la pena inflitta a R.H, ex vice presidente della Gesap, accusato di avere costretto il pasticciere Santi Palazzolo a pagargli una tangente da 100 mila euro per non perdere lo spazio che la sua azienda ha all’aeroporto Falcone Borsellino di Palermo. La condanna per estorsione era gia’ stata confermata dalla Cassazione, il primo giugno scorso, ma si doveva rideterminare la pena perche’ il reato non era stato considerato aggravato: R.H., ex personaggio centrale dell’antimafia palermitana, non era stato infatti ritenuto “incaricato di pubblico servizio”.
Non è che ce l’abbiamo con qualcuno: è che dobbiamo sistematicamente aggiornare la scheda del professionismo, per illuderci che venga un giorno in cui le espressioni di vertice siano effettivamente vocate al bene collettivo, agli interessi di tutti: e non all’appropriazione indebita, anche quando il lupo veste le pelli dell’agnello. Dobbiamo scusarci, però: perché la metafora del lupo non è appropriata. L’animale giusto è il maiale, perché occorre saper stare adagiati nei propri escrementi per sopportare quello che il sistema impone.
U’ultima considerazione: il mondo non può essere redento. Non ci attendiamo facilmente tempi migliori, né coltiviamo illusioni. Facciamo, a nostro modo, letteratura. Due finali chiarimenti: è chiaro che, dato il fine letterario, ignoriamo il mostro e mettiamo in prima pagina il letterato. Il secondo, è una nota critica finale: perché, più che un’ode, il genere tende più allo strambotto.

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