Patto di stabilità interno

chiariamo subito: si tratta delle regole applicative del pareggio di bilancio

Il Patto di stabilità interno è stato introdotto con legge finanziaria 1999, e modificato più volte in senso sempre più stringente, con l’effetto di essere un agente demolitore del welfare state.

Con la nota tecnica neoliberista dell’invasione soft, per gradi, il meccanismo ha esordito limitandosi ad indicare in una prima fase solo obiettivi di programmazione generale. Ottenuto l’accesso, il meccanismo è passato a dettare grandezze vincolanti relative a tutte le voci di spesa degli enti locali.

Una volta innestato nel sistema pubblico (1999-2005), il patto di stabilità interno ha avuto come obiettivo primario la riduzione della spesa per il personale: dall’ingresso di un nuovo lavoratore ogni due che andavano in pensione, al rapporto 1 a 5, fino al definitivo blocco del turn over, colpendo soprattutto istruzione e sanità/assistenza sociale.

Successivamente (2006-2010), l’obiettivo del patto di stabilità interno diventa la riduzione delle possibilità di investimento degli enti locali. Potremmo dire non la riduzione ma il blocco degli investimenti: il meccanismo impone infatti ai Comuni ed alle Province di spendere ogni anno soltanto il danaro incassato. In questo modo se, poniamo, un Comune decide di fare un’opera pubblica del costo di un milione euro ed impegna la spesa e appalta i lavori necessari, articolati in due anni, accadrà che il primo anno il Comune potrà pagare l’avanzamento dei lavori entro l’anno solare (scadenza 31/12), ma per l’anno successivo non potrà utilizzare i soldi impegnati e dovrà trovare nuove entrate corrispondenti. Se non dovesse trovarli, il Comune non potrà saldae la ditta per il lavoro realizzato e subirà un’ingiunzione di pagamento. Quindi, il danno raddoppia perché dovrà aggiungere spese legali e pagare comunque al creditore il dovuto e gli interessi: e questo nonostante il Comune continui ad avere in cassa la cifra necessaria, debitamente stanziata.

Nell’ultimo quinquennio il patto di stabilità interno è penetrato fino alla riduzione della spesa corrente, mettendo condizioni che, per chi ha realizzato investimenti, viene tolta la liquidità necessaria a sostenerli, producendo rischio di insolvenza. In breve, il meccanismo sta artatamente conducendo alla deficitarietà strutturale tutti gli enti pubblici, con lo scopo dello smantellamento del welfare state. Quelli che meglio applicano questi principi sono gli economisti più appressati dall’establishment.

La legge di stabilità 2019 per i Comuni, come da Circolare del Ministero dell’Economia e delle Finanze, disciplina le modalità di applicazione del patto di stabilità 2019 per tutti gli Enti territoriali (regioni a statuto speciale e a statuto ordinario, province autonome ed enti locali e le regioni a statuto ordinario) rendendole soggette, a partire dal 2021, “a poter utilizzare il risultato di amministrazione e il fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa nel rispetto delle sole disposizioni previste dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (armonizzazione dei sistemi contabili)”.

La disposizione, in apparenza, è persino banale: “gli enti territoriali (…) si considerano in equilibrio in presenza di un risultato di competenza dell’esercizio non negativo”. Ma se si riportano alla memoria le considerazioni svolte in un precedente articolo (“Perché andiamo indietro“) si comprenderà che in queste parole non c’è soltanto la rinuncia al sistema socialista (la proprietà nazionale delle strutture di produzione), ma c’è anche la rinuncia al sistema keynesiano (la regolazione statale degli investimenti pubblici in disavanzo nelle fasi congiunturali di recessione). Alla fine, l’esito è quello di rendere tutti gli Enti pubblici insolventi e quindi indebitati verso i privati, che è il modo tipico del neoliberismo di dissolvere (“rendere liquide”) le strutture solide pubbliche.

Stato sociale, Economia sociale di Mercato, Stato neo-liberista

In quell’articolo riportavamo la tesi di alcuni giuristi che ritengono l’introduzione nella Costituzione (artt. 81 e 97) del principio del pareggio di bilancio come cambiamento della forma di stato. Come già detto, ma è opportuno ripetere, uno stato socialista si caratterizza per la presenza di imprese nazionali che producono i beni essenziali (acqua, energia, educazione, istruzione e per la presenza di misure di sostegno per le classi sociali svantaggiate); un’economia sociale di mercato (definizione che dà di sé l’Unione Europea) è un sistema in cui lo Stato interviene per regolare il mercato e, in particolare, per garantire investimenti pubblici; uno stato liberista è invece un sistema in cui lo Stato si limita all’ordine pubblico (Stato di polizia) e non interviene nell’economia, che viene lasciata alla libera determinazione dei meccanismi della domanda e dell’offerta.

In breve, il patto di stabilità interno, secondo questa tesi e per l’evidenza di quanto accade sotto i nostri occhi, è strumento operativo delle politiche per il cambiamento della forma di stato, già ottenuta con l’inserimento del pareggio di bilancio nella Costituzione scritta, ed ora definita nella Costituzione in senso materiale dei rapporti sociali ed economici, mediante l’annegamento per debito di tutte le strutture pubbliche.

Persino per gli Enti virtuosi che avessero accumulato risparmi utili agli investimenti non v’è alcuna linea possibile: la circolare MEF sopra richiamata si affretta infatti a precisare: “la cessazione della disciplina in materia di intese regionali e patti di solidarietà e dei loro effetti, anche pregressi, nonché (…) sulla chiusura delle contabilità speciali (comma 823). A decorrere dall’anno 2019, infatti, cessano di avere applicazione una serie di disposizioni in materia di utilizzo dell’avanzo di amministrazione e del debito attraverso il ricorso agli spazi finanziari assegnati agli enti territoriali”.

sul cambiamento della forma di stato e sulla soft dictatorship del capitale

L’Europa si è definita un’economia sociale di mercato. Troviamo nel Trattato sull’Unione Europea, art. 3 comma 3 “L’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico”.

Già il “fortemente competitiva” attenua il carattere “sociale”, se vogliamo tentare di capire qual è il disegno. Del resto, l’economia sociale di mercato è una teoria nata per distruggere il mirabile sistema sociale realizzato con la Repubblica di Weimar. Le origini di questa teoria affondano nell’Ordoliberalismo della Scuola di Friburgo di Walter Eucken, per affermare il superamento di quel che veniva definito “controllo dirigista dello Stato” nei confronti del sistema economico capitalista.

Ecco: l’Europa, mirabile sogno di pace e di sviluppo intellettuale e morale, è stata accalappiata nelle redini del danaro ed ora rappresenta la struttura tecnocratica che guida il processo di smantellamento degli apparati pubblici dei sistemi di welfare territoriale.

L’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione è stato il cavallo di Troia: dietro l’apparente innocenza di quella che è stata presentata come una semplice norma di buon senso, si è di fatto reso incostituzionale il modello keynesiano (che ha assicurato lo sviluppo nei trent’anni del boom economico) che era guidato proprio dagli investimenti pubblici.

Il patto di stabilità interno è il meccanismo che impedisce gli investimenti pubblici senza risolvere la contabilità e, anzi, esponendo gli enti territoriali al fallimento economico (chiamato, nel diritto amministrativo, dissesto). Tutto questo non avviene per caso o per errore: è frutto di una scelta chiara e scientificamente condotta da parte delle élites del potere finanziario, ed è applicata in modo capillare in tutti gli Stati per realizzare la soft dictatorship, impalpabile ed invisibile, del capitale.

Se non fosse ancora chiaro, la circolare MEF insiste: “a decorrere dall’anno 2019, in attuazione delle sentenze della Corte costituzionale n. 247 del 29 novembre 2017 e n. 101 del 17 maggio 2018, le regioni a statuto speciale, le province autonome di Trento e di Bolzano, le città metropolitane, le province e tutti i comuni (senza alcuna esclusione) utilizzano il risultato di amministrazione e il fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa nel rispetto delle disposizioni previste dal decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (armonizzazione dei sistemi contabili) e si considerano in equilibrio in presenza di un risultato di competenza dell’esercizio non negativo”.

notare il marchio copyright (c) prima della stringa di caratteri sigla BCE nelle varie lingue europee

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