Suzana Glavas è raffinata autrice, traduttrice e poetessa che si muove sul limite della divisione dell’assenza. Suo luogo è la prossimità del superamento del confine, l’atto inespresso del valicare la soglia della convenzione: presto dissipata nell’alzarsi in volo, nell’azzurro del cielo.
La costruzione dei versi lavora su precipitanti allitterazioni che inchiodano sentimenti e sensazioni, soprattutto urgenza di vita e insopprimibile slancio vitale, dove la più oscura malinconia non può arginare la gioia.
Anche la profondità abissale della meravigliosa mi eclisso non può resistere all’esigenza della commensura, che è necessità di confronto, pretesa di un commensale, gioia d’un volto alla porta, che importa se commissione irrilevante, commessa insulsa, commiato irrisorio: ma vita; che, per esser vita, non lo è mai ed è sempre iperbole. Nulla di tutto questo.
L’ introduzione di Zaffora coglie l’urgenza dell’essenza come tratto distintivo della sostanza della poesia della Glavas, e s’accorge che le precipitanti allitterazioni tendono spontaneamente alla forma dell’haiku, una versione occidentale però non ancora essiccata, come avviene ad esempio in Zanzotto, qui ancora capace di gemmare in speranza di liberazione non generica, ma specifico e speciale affrancamento dalla cattività in cui siamo normalmente catturati e, per questo, animalmente cattivi.
Altre note a margine del testo poetico, accluse in calce al volume, colgono aspetti ulteriori della poesia della Glavas. Signorini ne tasta la dimensione di intimità con il silenzio ed il dissidio rispetto al contemporaneo eccesso di parole. Bruni avverte il soffio e la dolcezza amara del tempo che non c’è, concordando in questa opzione minimale con D’Eliso, che trova la “sua” Glavas in questa medesima diversa assenza. A me non resterebbe che l’esilio dell’esilio di chi non c’è, di chi manca a sé stesso.
Margherita Guglielmino e Giuseppe Pennisi, del board editoriale, annunciano il mirabile miraggio de la figlia della luna, immagine riflessa in uno specchio d’acqua, che non teme umiliazione perché sola rifrazione: l’autentica e pura sorgente è altrove. Giuseppe Granato Corigliano ritrova in fatti infranti infine in fondo quest’assenza come migrazione, ritrovo/abbandono del nido segreto annidato in quel titolo tutto d’allitterazioni: «Come stormi colmi di giorni di ritorni».
D.C.C., recensione a Come stormi colmi di giorni di ritorni di Suzana Glavas, Carthago edizioni, 2021
