Il Canzoniere del Canzoneri

La raccolta di poesie “Chiddu chi sentu” di Giovanni Canzoneri ha la forza di un canzoniere dettato da voci interiori, una raccolta di rerum volgarum che ritorna al dialetto come necessità di riparo da una globalizzazione che ha smarrito la disintegrazione delle frontiere, Stella del Mattino dell’utopia libertaria, e ha preso invece la consistenza post-capitalista dell’esilio dell’emigrante. Nun cridiri a li giurnala di li putenti, scrive Canzoneri ed alza la sua voce Contru lu ‘nfami guvernu, servu / di ‘nu quarquarazzu a stiddi e strisci facendoci capire la sua interpretazione di questo simulacro di globalizzazione a traino del quarquarazzu Trump.

La scelta di un dialetto stretto e popolare, a beneficio della comprensibilità accompagnata da versioni in italiano di ogni componimento che appare nella raccolta, è dunque lontanissima dal farsi anacronistica persistenza di nostalgie localistiche e piuttosto prende la consistenza di scelta convinta della necessità di far parlare le voci di dentro, così facendosi annuncio di figure indimenticabili.

L’apparizione di Angelina Romano, una bambina di otto anni che ebbe la sfortuna di assistere alla fucilazione di sei ribelli da parte del regio esercito, e che fu uccisa anche lei per quel solo aver visto. Poi Maria Occhipinti, femminista, scrittrice anarchica, che fu sostenitrice e partecipe dei Moti del “non si parte” scoppiati a Ragusa nel 1945, per contrastare la pretesa dello Stato italiano di mandare la gente in guerra. Il testo ospita una nota introduttiva della figlia di Maria Occhipinti, Marilena Licitra Occhipinti. La galleria di ritratti in versi prosegue con Vanni Nicchitta, ciabattino antifascista di Collesano; Ciccu Bonafede, contadino comunista; Turiddu Canzuneri, pìrriaturi cioè cavatore di pietra calcarenite a Bagheria, che trova eco con la tradizione anarchica dei lavoratori del marmo nelle cave di Carrara; Paolo Schicchi, il Leone delle Madonie, introdotto da una nota di Nicola Schicchi.

La tessitura del narrare del Canzoneri, creando un legame tra poesia e memoria, fa che questo libro trascenda il livello emozionale e si erga a documento per ricordare uomini e donne che hanno creduto nell’emancipazione delle classi subalterne e lo hanno fatto in una terra dimenticata anche da chi avrebbe avuto il compito di coordinare queste lotte di emancipazione: e fa pensare a cosa sarebbe potuto accadere, in questa Sicilia al centro del Mare Nostrum, se non vi fosse stato, tra le tante divisioni e scismi spesso progettati e voluti dal capitale, persino chi propugnava la necessità di separare la falce – la classe contadina e dunque l’Italia meridionale – dal martello – cioè il proletariato industriale, che la risoluzione della III Internazionale volle definire unico soggetto che poteva sostenere la rivoluzione operaia, a tutto vantaggio dei capitalisti e indebolendo ulteriormente e definitivamente il movimento dei lavoratori, già esangue per le troppe scissioni.

Il libro di Canzoneri, sebbene forse per necessità o per acerbe striature metricamente indeterminato e stroficamente devoto alla partizione semplice e popolare della quartina, ha dalla sua quel tratto di galleria di ritratti, reso autentico dalla presenza di note che tramandano l’eredità di un patrimonio ideale: queste caratteristiche rendono la silloge affatto trascurabile e vero documento di memoria che sarà bene diffondere e diramare per il fine della conoscenza delle voci di chi ha cercato un’emancipazione di cui le generazioni moderne rischiano di non saper più nulla.

immagine di copertina: Teste di contadini, di Renato Guttuso, 1947 (particolare)

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