Urbanistica tattica, catena globale del valore, lenzuola stese e parole di pietra di lava

Sun-Tzu scrisse che “una strategia senza tattica è la via più lenta per arrivare alla vittoria, mentre una tattica senza strategia è il rumore prima della sconfitta”.

Questo concetto, applicato alla dimensione della trasformazione del territorio urbano, che è appunto il significato di “urbanistica”, significa che non si può lasciare la definizione degli spazi della città alle determinazioni singolari di architetti e ingegneri, che la loro competenza va integrata con le variabili sociali e antropologiche, le vocazioni economiche e commerciali.

Facendo così emergerà un racconto diverso, un nuovo immaginario per le aree del centro storico, capace di liberarle dalle incrostazioni dei residui di una “usabilità” inattuale per le mutate condizioni sociali ed economiche. Una nuova tessitura per rinnovare il sistema segreto della biosfera urbana e trovare nuovi significati del vivere.

C’è bisogno di una nuova narrativa. E gli esempi non mancano. Dalle Jane’s walk, passeggiate antropologiche ispirate alla visione del libro di Jane Jacobs “Vita e morte delle grandi città americane” (iniziativa internazionale giunta alla sua XII edizione nel mondo e alla II edizione in Italia, patrocinata dall’INU – Istituto Nazionale Urbanistica), fino alle operazioni più militanti come “Street-fight” o “Urban Guerrilla” alla Janette Sadik-Khan, o alle rievocazioni letterarie della “Bloomsday o Dublino in un giorno” ispirata all’ “Ulisse” di Joyce.

Uno studio del Politecnico di Milano, di Bozzuto e Sangalli ci orienta verso l’urbanistica tattica come veicolo d’arte più che burocrazia, dove prima della trasformazione vi è sempre una fase di sperimentazione che permette non soltanto di comprendere gli effetti di una operazione temporanea (e dunque prevenire i difetti di un’installazione definitiva mediante un test di verifica), ma anche di verificare se quella trasformazione è espressione di un’effettiva esigenza dell’area o se si tratta invece di un intervento effimero, conservando la validità transeunte dell’esperienza performativa/artistica senza doverla trasformare in operazione permanente.

Temporaneità, basso costo, alto impatto simbolico, unitamente a incremento del capitale sociale, accesso al cibo locale, aumento della sicurezza urbana e della qualità della vita: sono questi i fattori che permettono l’accostamento a processi che caratterizzano la vita delle principali e più dinamiche città del mondo, per tradursi in accesso alla catena globale del valore.

Trasposto dalla stretta connessione con la matrice economica (ed econometrica) della matrice di origine del concetto, global chain value resta determinato in quanto scomposizione dei processi produttivi come insieme delimitato di operazioni, dove gli elementi primari sono acquisizione, realizzazione, esportazione, marketing & vendite, servizi indotti e gli elementi di supporto innestano capitale imprenditoriale, sociale e tecnologia.

Il triangolo organizzazione-risorse umane-ICT innesta la possibilità di entrare nella catena di valore della nuova narrativa delle città mondiali, con vantaggio competitivo derivante dal posizionamento nella supply chain che permette l’abbattimento di costi nella circolazione di idee, artisti, esperienze, good practices, abbassando contestualmente i costi di intermediazione.

La città registra effervescenze non trascurabili, così come le contraddizioni che esprime, per una volta, non appaiono ostacoli ma opportunità. Leggiamo dal documento del Politecnico di Milano: “I migliori esempi di successo di Tactical Urbanism sono quelli sviluppati all’interno di città caratterizzate da un tessuto urbano diffuso, con un pessimo grado di walkability. (…) Per semplificare, sarà difficile vedere una bike lane disegnata per terra da attivisti in un ambiente già amico della bicicletta”.

Le installazioni in via Santa Barbara sono eccellente esempio di urbanistica tattica: il luogo di esecuzione è una strada chiusa al traffico, oggi per necessità più che per scelta. Si tratta di uno spazio nel pieno della città tradizionale, dove sotto i palazzi sette-otto e novecenteschi riposano vestigia medievali, bizantine, romane e greche, con radici profonde che affondano nel primo neolitico.

Via S. Barbara è chiusa al traffico perché sotto la strada c’è una tricora bizantina, e il solaio non può sostenere, per ragioni di statica, il traffico veicolare. Questa condizione diviene un’opportunità, perché vince con la forza della necessità la riluttanza cittadina alla chiusura al traffico. Le installazioni temporanee dimostrano la possibilità del cambiamento della soluzione, da imposta a scelta.

Anche le scelte artistiche appaiono congruenti e raffinate rispetto alla tattica di gioco: il bucato di Giuliano Cardella e il teatro imaginifico di Alice Ferlito presentano caratteristiche di comprensibilità simbolica perfette per far convergere repertorio insieme colto e popolare: l’umiltà di un gesto quotidiano come stendere il bucato si estende per farsi installazione artistica sul tema dell’inclusività e della multiculturalità. Ciò che si vede è corroborato, in modo indipendente e altrimenti definito, dalla lettura sensibile e ruggente dei miti della nostra terra espressa con un linguaggio lavico e risonante, pieno di rime, assonanze, allitterazioni che hanno la forza di passare attraverso i muri, di entrare casa per casa, di imprimersi nella coscienza.

[Da.Cri]

(c) Fondazione M, citare indicando la fonte

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