Mai come nel nostro tempo si è sentito il bisogno di comprendere meglio le pulsioni che derivano dal nostro inconscio. Ma come fare senza produrre conflitti?
Trattare l’inconscio non è semplice, perché al di sotto del nostro pensiero razionale c’è l’intreccio affascinante delle nostre pulsioni istintuali, l’emotività, la miscela inestricabile della nostra emotività e dei ricordi personali, giù, giù sino alla più remota infanzia. Non basta: questo reticolo non è ancora nulla più che il sistema dell’inconscio personale, al quale si impone l’inconscio collettivo, dove si attorcigliano i condizionamenti derivanti dal sistema culturale, religioso, valoriale, resi indistinguibili dalla propaganda e dalla pubblicità. Alla fine, su tutto questo, s’innesta la coscienza dello Spirito, la consapevolezza della Verità: che però resta imprigionata dalla confusione di istinti, pulsioni, pensieri e desideri che le altre forme inconsce determinano.
Per tentare di fare un po’ di chiarezza, si potrà partire dai sistemi tradizionali della psicoanalisi, semplificando gli schemi di Freud (l’inconscio personale), Jung (l’inconscio collettivo delle immagini archetipiche) e Lacan (la letteratura e il linguaggio).
Il sistema di Freud ruota tutto intorno al fatto che il cerchio della coscienza ha un’estensione minore dell’inconscio: perché da questo calderone ribollente elimina tutto ciò che viene chiamato rimosso.
Jung complica il quadro freudiano aggiungendo una dimensione collettiva, fatta soprattutto dalle immagini simboliche, che un tempo erano appannaggio della religione e del potere, mentre oggi, con le comunicazioni di massa, sono divorate e prodotte dalla pubblicità e dalla propaganda, aumentando la confusione.
Lacan ci richiama alla parola, alla letteratura, all’immagine acustica della parola pronunciata o anche soltanto pensata: perché la parola è suono, anche soltanto nella mente, quando letta in silenzio.
Si potrà dire: occorre un’ecologia della mente. Così come non dovremmo nutrirci di immagini negative, non dovremmo nutrirci nemmeno di parole negative. Ma in questo modo vedremo soltanto una parte della realtà.
E allora, la vera domanda è: siamo pronti a sostenere l’intero delle nostre emozioni? Siamo sicuri di non soccombere alle parti più oscure del nostro pensiero (del nostro inconscio)?
Una domanda ancora più aggressiva potrebbe essere questa: siamo certi che la parte oscura non contiene ragioni che il pensiero razionale non vuole vedere? In altre parole, non è forse possibile che il pensiero razionale sia un inganno e che la nostra indisponibilità ad accogliere ragioni superiori ci trattiene in un insopportabile limite?

Non a tutti è dato poter varcare i confini dell’inconscio, e chi lo fa, lo fa sempre a suo rischio e pericolo. Le religioni, con il loro fondarsi sulla paura, sono un potente argine a questa disposizione: che però sta crollando, sopraffatto dalla perdita di credibilità di istituzioni che hanno soltanto preteso di controllare la gente prendendola proprio dal versante delle loro debolezze, della paura.
Una umanità più consapevole ed emancipata deve fare lo sforzo necessario di confrontarsi con l’inconscio, se vuole progredire.
Ognuno deve rispettare la sua indole: chi può guardare soltanto attraverso il vestibolo e accontentarsi di vedere il portale dell’inconscio chiuso con assi e potenti chiodi e catene e lucchetti, si limiti a contemplare la porta. Ma resti assorto in questa contemplazione. Finché non sentirà la Voce.