Mondiali femminili, un’analisi

Va da sé che l’elemento più importante di questi Mondiali Femminili stia nell’affermazione diretta e incondizionata che il calcio femminile è spettacolare quanto quello maschile e, se mai, è persino più interessante perché contiene ancora quel legame originario con la dimensione sport che l’eccesso dei carrozzoni da circo del calcio maschile hanno fatto ormai sparire. Quindi, è ben probabile abbiano ragione le donne quando sostengono che il calcio femminile può salvare il calcio.

Il valore di emancipazione è davanti a tutto. C’è anche un elemento geopolitico da non sottovalutare, dato dalla maggiore apertura del pallone femminile rispetto a quello maschile, con una formazione asiatica, il Giappone, che si è conquistata un posto nell’albo d’oro e con gli Stati Uniti che, se nel calcio maschile non sono mai riusciti ad imprimere un segno importante, hanno portato il calcio femminile ai massimi livelli, permettendo così una penetrazione di questa disciplina nel tessuto sociale che non potrà se non crescere nel prossimo futuro. E poi c’è lo spettacolo del calcio, che è incarnato soprattutto dal Brasile, con la giocatrice più popolare, Marta, che ha dato una lezione di fair play pronunciando un memorabile discorso sul valore sociale e civile di questo sport subito dopo l’eliminazione della sua squadra dal torneo.

Quanto all’Italia, non si possono fare che complimenti per quel che l’organizzazione ha fatto e per come la formazione ha tenuto sul campo. Tutte le giocatrici si sono impegnate al massimo, e sono comprensibili tutte le cose accadute, dalle esplosioni di gioia alle lacrime. L’allenatore, Milena Bertolini, ha costruito un gruppo interessante e, sebbene ancora formalmente il calcio italiano femminile abbia struttura “dilettante”, non è apparso in alcun modo inferiore a squadre nazionali costruite intorno a un sistema professionistico. Ma sarebbe anche ingiusto chiudere l’analisi con “tutto perfetto”, perché questo significherebbe non dare valore al contenuto sportivo di quel che si è svolto, che è tutt’altro che indifferente.

Soprattutto, è piaciuta la mirabile interpretazione della partita d’esordio con l’Australia, vinta con il cuore e con la tecnica. La partita con la Giamaica è meno rilevante sotto il profilo agonistico, ma questo dà occasione anche per dire qualcosa sulla serietà delle croniste donne che, lontane dallo stupidario in cui sono degenerate le cronache del calcio maschile, hanno raccontato dell’apporto della famiglia Marley al sogno di queste ragazze che rischiavano di non poter vedere nemmeno iscritta la propria nazionale al torneo. Con il Brasile si giocava contro la tradizione e, sebbene la squadra abbia tenuto sul campo, alla fine è venuta una sconfitta di misura, su rigore calciato dall’ineffabile Marta. Quindi, la Cina è giunta come avversario perfetto rispetto al tipo di gioco italiano e, sia pure senza fare mirabilia, la squadra ce l’ha fatta. Contro l’Olanda però, invece che ripetere lo schema Cina, sarebbe forse stato meglio ritrovare la spinta iniziale Australia. con un centrocampo più orientato al controllo di palla e meno difensivo. Alla fine, il solito modo sparagnino non paga: a difendersi sempre, si finisce col subire. Questo vale per l’ultima partita, forse: ma è troppo facile col senno di poi. In ogni caso, quel che abbiamo visto è stato avvincente. E vogliamo rivederlo, ancora più bello.

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