Lucia Morpurgo, Roberto Bazlen

Volti segreti della grande letteratura italiana del Novecento, in certo qual modo scrittori mancati.

“Mancato per scelta”, avrebbe detto di sé Bazlen: definizione perfetta su cui si concentra tutta la consapevolezza dei tempi moderni.

Consulente editoriale di varie case editrici italiane, tra cui Nuove Edizioni Ivrea, Edizioni di Comunità, Bompiani, Astrolabio, Giulio Einaudi, Roberto Bazlen prendeva troppo sul serio il suo lavoro di traduttore e redattore per mischiarlo con la ricerca di un successo personale, al punto da non pubblicare nulla in vita. In questo, diviene anima parallela a quella di Lucia Morpurgo, négresse inconnue delle conversazioni epistolari.

La casa rosa dalle ampie stanze che Lucia Morpurgo condivide con il marito, il pittore Paolo Rodocanachi, è il luogo di raccolta degli “amici degli anni Trenta”: fanno parte di questo cerchio Eugenio Montale, Luciano Foà, Adriano Olivetti, Umberto Saba, Giacomo Debenedetti, Italo Calvino, Camillo Sbarbaro.

Lucia inizia la sua attività di traduttrice “negra” per Vittorini, Montale, Gadda e Sbarbaro. Il suo nome non compare mai sui testi, il lavoro, sempre ben fatto, è mal retribuito e pagato in ritardo – non si limita alla mera traduzione letterale.

Lucia Morpurgo e Roberto Bazlen erano entrambi originari di Trieste, città così razionale e insieme psicoanalitica.

Nei taccuini di Bazlen si ritrova l’idea che animerà la casa editrice Adelphi: la Biblioteca, intesa come collana di libri unici per lettori esclusivi.

Dobbiamo loro la restituzione dell’irrazionale alla letteratura italiana, troppo a lungo assordata e accecata dal realismo.

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