Del Teatro e dei Misteri

In un segreto e antico teatro, un fiume sotterraneo torna visibile per raccontare…

per raccontare di cosa?

Di cosa? Dei racconti che si tramandano dalla notte dei tempi e dei Misteri…

#Teatro#Choros#Amenanos

O forse no. In apparenza, lo spettacolo è un florilegio dai testi delle tragedie classiche. Si potrebbe facilmente declassare come recital, interessante e ben sostenuto dalle musiche d’orchestra e dalle voci nella tessitura della Cappella Tergestina, per chiudere con valore antologico. Ma sarebbe l’esito di un ascolto distratto, di uno sguardo smarrito perché, a ben vedere e a buon sentire, il canto del capro – non è questo il significato etimologico di tragedia? – non può più esser taciuto: e allora tracima, esonda, straripa.

A dare il primo squarcio che lacera il bavaglio è l’evocazione di Dioniso; poi verranno altre voci a dire di non tentare la via impervia di chi pretende di risolvere enigmi, né di ambire a farsi sovrano, né profeta, né di ambire a nulla: e tutto questo si rapprende nel momento in cui la parola cede al canto e al frammento incontenibile in cui il canto approda a un greco antico di cui forse non comprendiamo i significati delle singole parole ma certo sentiamo d’istinto la forza viscerale che va oltre le strutture di senso e comunica direttamente e senza mediazioni con il profondo.

Potrei aver anche frainteso tutto, come di sicuro accade sempre quando di mezzo c’è la conoscenza intuitiva dei simboli: e poi sono queste cose che non si devono dire, proprio perché appartengono non tanto al teatro, che è pur sempre un osservare guardando da fuori, quanto piuttosto a ciò che c’era prima che il teatro fosse.

Il segreto per renderlo comunicabile ai moderni non è l’intepretazione ieratica quanto la sua dissimulazione, il farla apparire sì, ma solo in filigrana; una sottile opera di psicologia degli archetipi che lascia intatte le apparenze borghesi ma non per questo rinuncia ad inoltrarsi nei recessi dell’anima. In questo Daniele Salvo dimostra di star percorrendo una strada di ricerca tanto feconda quanto comunemente obliata. Le musiche del M° Marco Podda si tengono sulla stessa dinamica, con soluzioni formali e strumentazioni tipiche dell’orchestra classica e del coro di voci, ma senza rinunciare a lavorare sulle frequenze di vibrazione. Sul campo arato delle voci, la soprano Giulia Diomede costruisce le intelaiature armoniche, preparando il terreno per le irruzioni acustiche dei canti dal greco antico intepretati con forza di incantesimo da Melania Giglio, che entra nell’Olimpo del ristretto drappello di Erinni che sanno praticare il genere, da Evi Stergiou a Diamanda Galas.

Alla fine, come già al tempo di Euripide, i Misteri non possono esser pienamente celebrati, semplicemente perché non è più tempo. In certo qual modo, l’evocazione ripercorre la storia del luogo che quella sera, nell’illusione di un eterno oggi, ospitò l’evento: un teatro che per mille anni restò invisibile e che, riscoperto, oggi riscopre che poco più ad est si trovava l’area sacra delle cerimonie, tempio che pure rimane sepolto e invisibile.

Questa è la condizione della modernità: si può solo alludere ai Misteri, non celebrarli. E il modo di alludere può esser soltanto il dissimulato mistero della Phoné: ma qui l’allusione è potente, e l’illusione risulta magnifica, restando tuttavia incomprensibile tanto a chi non ha la chiave per decifrare i simboli erratici quanto a chi pretendesse, con maggior stoltezza ed errore, di averli decifrati.

[DCC]

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