La notizia che l’aeroporto di Catania potrebbe presto essere posto in vendita non è di certo irrilevante. E non solo per la comunità locale.
L’argomento è interessante perché offre la possibilità di riflettere in linea generale e approfondita sul tema della privatizzazioni.
Il primo punto di osservazione è quindi stabilire la situazione sotto il profilo economico. Si tratta di un sistema in difficoltà? Di un complesso imprenditoriale in crisi?

La risposta è (insolitamente, per l’economia meridionale) no. Ribadisco: NO. Si tratta di un sistema che produce utili, in fase di pieno sviluppo, con proiezioni che parlano di raddoppio dei passeggeri nei prossimi dieci anni e, secondo alcune stime, anche meno.
Senza preclusioni di ordine ideologico, cerchiamo di capire meglio. Tenuto conto però che, alla prova delle evidenze storiche, l’idea che “privato è meglio che pubblico” si è dimostrato più che altro uno slogan per privatizzare i profitti e rendere le perdite pubbliche. In breve: il privato arriva quando una compagnia è in fase di surplus di profitto, si innesta, succhia tutto quel che c’è da succhiare e poi vada come vada.
Questa valutazione non deve essere letta in modo tanto ideologicamente miope da non far intravedere altre possibilità e, soprattutto, senza beatificare ad ogni costo la gestione pubblica che, a parte la valutazione aziendale, deve anche tener conto di inefficienze sistemiche che sono evidenti e laceranti: basta vedere le aree adiacenti all’aeroporto, come ad esempio i due ex campi sportivi “Fontanarossa” e “Zia Lisa”, lasciati alla devastazione. Se poi volessimo esaminare lo stato dei luoghi dall’aeroporto all’ingresso in città, allora dovremmo visualizzare una serie di strutture fatiscenti, incredibilmente disposte in un’area di potenziale pregio fantastico, che invece disegna la linea di un degrado avvilente: intanto il piazzale senza alcun senso, orribile in senso urbanistico e architettonico, pericoloso per la viabilità e per i turisti, che costituisce lo snodo tra via Tempio, via Kennedy, l’Asse dei servizi e via Acquicella. Poi l’ex cementeria, un cimitero di ossa di dinosauri. A seguire, opifici in abbandono, mura pericolanti e improbabili residui di bombardamenti della seconda guerra mondiale. Si procede con il mercato ittico mai entrato in funzione e tutto si completa con un capolavoro di recupero: l’abbattimento del Mulino Santa Lucia sulle cui ceneri è sorto l’orrendo edificio realizzato da Acquamarcia (nome che sembra scelto dalla Disney sul modello di Macchia Nera), completato con uno standard di qualità edilizia che si commenta da sé e sublimato con una decisione giuridica che è un trionfo del funzionalismo.
Il disegno del lungomare contempla ancora altri esempi edificanti: la via Dusmet, oggi significativo punto di accesso dei crocieristi che arrivano al porto, che reca un tracciato simile a quello di un autodromo che potrebbe far invidia a Montecarlo per le accelerazioni in chicane che consente, con evidente facilità per i turisti per provare il brivido nel semplice fatto di attraversare la strada. Arriviamo così alla stazione, e chiudiamo gli occhi per non vedere i crateri di Corso Martiri della Libertà, accontentandoci di un lumicino di speranza che, dopo oltre cinquant’anni dallo “sventramento”, ha accesso la realizzazione delle opere di urbanizzazione di un piccolo tratto. Restando sul lungomare, ci si imbatte in un altro gioiello rappresentativo del modello di gestione più in auge in questa città negli ultimi vent’anni: il Palazzo delle Poste, un colosso di cemento armato in riva al mare, in abbandono ormai da tempo immemorabile. Completa il quadro pittoresco l’Ente con l’acronimo più chic della città: la Federazione Italiana dei Consorzi Agrari, anch’esso in abbandono.
Torniamo però al nostro tema di oggi: privatizzare l’aeroporto è la scelta giusta?
Forse non abbiamo trovato la soluzione, ma abbiamo fatto una graziosa passeggiata domenicale, in attesa che la metropolitana ci porti davvero fino all’aeroporto. Restiamo seduti ad aspettare l’autobus, pensando che questo non sarà privatizzato, però al momento non si vede.