Si potranno riconoscere al film di Gianni Amelio almeno due effimeri meriti: il primo, di aver capito che venticinque anni, sulla scala della storia, non è un periodo sufficiente a fare una retrospettiva piena e completa; il secondo, squisitamente cinematografico, di aver saputo trovare gli accorgimenti per rendere possibile da seguire un racconto intimista che in ogni attimo corre il rischio dell’assenza di ritmo narrativo. Si può discutere infine sulla scelta onirica delle sequenze finali, che forse cadono nella pantomima dando luogo a un cedimento di stile che forse avrebbe dovuto trovare un altro esito stilistico: ma tant’è, rimane un documento anaffettivo e come tale andrà presto in soffitta. Se un punto può essere accreditato a questo film, questo sarà dovuto ai suoi effimeri meriti sopra definiti, che possono esser compendiati in uno, dando atto del fatto che l’intendimento non è stato quello di trovare la forza di dire cos’è davvero accaduto e perché il partito socialista di Craxi è divenuto il capro espiatorio di un sistema di corruzione che non escludeva nessuno dei partiti dell’intero arco costituzionale. Scegliendo di non ripercorrere la vita intera del protagonista ma parlando della sua rivisitazione del vissuto soggettivo nei mesi che precedono la morte, il film ha eluso il sicuro fraintendimento che si sarebbe generato. Ma c’è un altro fraintendimento da cui si deve guardare chi avesse voglia di capire: e cioè la differenza tra un leader transeunte, qual è stato Craxi o chiunque altro prima di lui, e il partito socialista. Perché quel che resta insoluto è il vero argomento di cui pochi hanno preso coscienza: e cioè l’attacco liberista ai partiti socialisti di tutto il mondo: dalla Yugoslavia di Tito all’Iraq di Saddam Hussein, alla Libia di Gheddafi, alla Somalia di Siad Barre, al Brasile di Lula. I paesi europei non hanno più che un “finto socialismo”. Il socialismo è stato sgominato da tutti i paesi del mondo. Qualcuno penserà: “se lo sono meritato: erano corrotti”. Questo pensiero è legittimo, e proprio qui è il suo limite: perché per fare politica, ovunque, è necessario cavalcare la linea sottile tra legalità e illegalità, e tutti i politici sono ricattabili. E c’è chi fa carriera costruendo dossier sui personaggi che hanno potere, accumulando notizie sui loro comportamenti pubblici e privati, sui loro vizi ben più interessanti delle eventuali poche e noiose virtù. Non si confonda questa lettura con una assoluzione, bensì sia percepita come una domanda, la solita vecchia domanda: “come mai se tutti sono corrotti a pagare il supplizio sono stati solo i socialisti?”
A questa domanda si può rispondere solo con un’altra domanda: “non sarà che i socialisti, i vecchi socialisti che ancora credevano in educazione e istruzione come metodi per emancipare il popolo dalla subalternità, davano fastidio al sistema di potere di mercato?”
Infine, una riflessione amara sul contenuto simbolico: la metamorfosi del garofano in crisantemo. I simboli portano con sé un destino, e la scelta del garofano si rivela scellerata: il garofano era il fiore che portavano all’occhiello i nobili francesi che salivano alla ghigliottina, presagio di un destino. Fu Craxi a scegliere il garofano. In realtà, avrebbe voluto la classica rosa, già simbolo dei socialisti europei. Ma per le elezioni del 1978 Pannella aveva già depositato la rosa nel pugno come simbolo del partito radicale. Sol dell’avvenire e falce e martello sopravvivono nel simbolo ma in un cerchietto piccolo in basso, mentre in primo piano domina il garofano che avrebbe dovuto significare l’idea di un socialismo interclassista, la cui vita non supererà i 15 anni, per trasformarsi in crisantemo nel 1993. Questo è un invito a riflettere sul nome del fiore e della rosa.
