Arte (?) postmoderna

L’ultimo caso è la banana di Cattelan, venduta a 120.000 $ alla mostra d’arte di Miami. Rispetto alle tante opere paradossali di cui la modernità ci ha riempito, dall’orinatoio di Duchamp alla merda d’artista di Piero Manzoni, il sentimento del paradosso è ulteriormente irretito dalla deperibilità di questa “operetta” che il suo ideatore ha intitolato “Comedian”. Si possono avere diverse interpretazioni sull’argomento, ma resta di terribile evidenza l’assenza di qualsiasi orizzonte rispetto al materialismo.

Questo non è un articolo contro Cattelan; le sue opere possono non piacere – e a noi non piacciono – ma in verità la logica del “mi piace” o “non mi piace” è indifferente all’arte, che non è oggetto delle nostre valutazioni soggettive, quanto piuttosto rivelazione dello Zeitgeist, dello spirito del tempo.

Cattelan ha quindi il merito di rivelare lo spirito del tempo, di farsene beffa, di essere in condizione di coglierne l’essenza e trarne vantaggio. Ciò ch’è desolante è proprio l’essenza del nostro tempo, caratterizzato dall’assenza dello spirito.

Il nodo è antico, e rimanda a un topos letterario sorto dalla pittura: l’astrattismo che, nelle intenzioni del suo più grande teorico, Vassily Kandinsky, avrebbe dovuto essere la liberazione dell’immagine dalle catene della forma, per giungere ad una comprensione della realtà superiore, dove la forma svanisce per sublimazione e lascia soltanto l’impressione della luce attraverso il colore.

Se nella concezione di Kandinsky l’essenza partiva proprio dalla forma della realtà liberata in una concezione superiore, presto apparve un’altra concezione dell’astrattismo, inteso come disegno senz’altra determinazione che la distribuzione casuale del colore, più congeniale al materialismo americano e perfettamente espresso da Jackson Pollock.

La supremazia del materialismo e dell’inessenziale hanno avuto da allora il sopravvento, ed anche le opere più dissacranti sono state livellate in questa corsa degradante verso il trionfo della banalità. L’opera di Cattelan è una banana banale abbastanza da esser facilmente accettata come replica seriale di un concetto già espresso, una citazione della banana di Warhol per la copertina di un disco. Allo stesso tempo, una critica sovrastrutturale può farne emblema di una critica del capitalismo, furba abbastanza da trarre vantaggio dai benefici del capitalismo stesso.

All’arte di mercato si accede per cooptazione. Le quotazioni dipendono da criteri arbitrari determinati da chi, per condizioni di egemonia e di potere, ha la forza di stabilirne il valore. Si tratta di un mondo al quale si può accedere soltanto per cooptazione: occorre chiarire infatti che il vero potere non è la politica, ma la cultura, che ha il dominio sulla manipolazione dei simboli e dei valori.

Questo concetto si chiarisce ulteriormente se si comprende che oggi i bilanci di banche maggiori sono risolti mettendo in attivo il possesso di opere sovrastimate per nascondere i deficit. Solo in questo modo si spiegano ad esempio le quotazioni dei palloncini colorati iperrealisti come i cagnolini di Jeff Koons, che superano il milione di dollari.

Non possiamo arrabbiarci con Cattelan: si tratta, infine, di un emblema del #capitalismo e della stupidità del mondo, di cui l’autore, occorre riconoscere, si mostra consapevole. Siamo non che non lo siamo. Lui sì, ha capito e sa come fare.

Restiamo inadeguati e naufraghi in questo mondo liquido, prigionieri del materialismo, di religioni incredibili, di una metafisica negata e di una spiritualità avvilita dalle molteplici forme dell’oscurantismo.

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