Un nostro recente articolo [«Porta Garibaldi o Porta Ferdinandea?»] rende opportuno un approfondimento. Si è già detto molto in queste pagine del disallineamento tra Mazzini e Garibaldi, trovandone le cause principali nel maggior scetticismo di Mazzini sulla attendibilità della Massoneria italiana, mentre invece Garibaldi era più incline a cedere alle lusinghe. Si è detto, nel Mazzini Occulto, con estensione di particolari, che lo sbarco fu preceduto da un concilio massonico che stabilì gli accordi e il ruolo principe che avrebbe avuto Garibaldi.
Occorre riconoscere che le cose non andarono come sperato, soprattutto laddove, come a Bronte, i popolani (aizzati dai padroni terrieri, antica aristocrazia di gattopardi fedeli allo stato pontificio) insorsero contro i garibaldini. Non a caso, in Aspromonte, la famosa ferita a Garibaldi fu causata dall’esercito dei Savoia, in un gioco di alleanza segreta con le guardie pontificie (per esempio, vedi La Stampa del 28/08/2012). E non a caso tutto si risolse con un massonicissimo «obbedisco» e un esilio dorato a Caprera.
Ma vediamo di andare oltre e prima.
La domanda (con il Nuovo Monitore Napoletano, n. 40/2012) è: «qual è l’origine dell’odio che la Sicilia nutriva per il regime borbonico?»
La Sicilia, prima dell’arrivo dei Borbone di Spagna, aveva già subìto la dominazione dei Savoia dal 1713 al 1720, a conclusione della guerra di successione. Passata nel 1734 ai Borbone insieme al Regno di Napoli, l’isola mal tollerò la nuova destinazione e si rivelò presto una spina nel fianco della dinastia borbonica, che la mantenne distinta e autonoma.
Con i venti che soffiavano le idee dell’illuminismo, anche la Sicilia, nel 1812, ottenne la Costituzione. Con la restaurazione decisa al Congresso di Vienna nel 1816, i Borbone incorporarono la Sicilia nel Regno delle Due Sicilie, unificando le due corone, di Napoli e di Sicilia. Questa soluzione acuì l’odio dei Siciliani, abituati fin dal tempo dei Vespri a marcare una netta distanza da qualsiasi governo continentale, e soprattutto dalla dominazione borbonica.
La rivoluzione in Sicilia avvenne il 12 gennaio 1848, quando il popolo palermitano eresse le barricate e si rivoltò, sventolando il tricolore italiano e inneggiando all’Italia ed alla costituzione. Il 25 marzo, dopo 30 anni di sospensione delle sue attività, venne proclamato nuovamente il Parlamento di Sicilia, che si diede un governo costituzionale che proclamò il nuovo Regno di Sicilia, a capo del quale fu posto Ruggero Settimo, già ammiraglio della flotta borbonica, ma che da sempre nutriva schietti sentimenti liberali. Tra i ministri, furono nominati Francesco Crispi, Francesco Paolo Perez, Mariano Stabile, Michele Amari e Salvatore Vigo. La bandiera del Regno della Sicilia fu il tricolore: verde, bianco e rosso.
Tornando al Settecento e ai prìncipi illuministi Biscari e Cerami, ecco come Ruggero Settimo dimostra in parallelo di continuare la loro tradizione, lavorare in partibus infidelium, nel significato che Dante Lattes dà a questa locuzione e cioè stando in linea con il potere reazionario, ma operando segretamente per l’emancipazione ed il progresso. Questa ambivalenza nel rapporto con i Borbone è stata sempre presente in Sicilia, ma anche nella stessa Napoli, come dimostra l’agire politico di Raimondo di Sangro, e come andrà celebrato in un adeguato racconto la storia che mette in relazione il principe napoletano con il barone Spedalieri ed entrambi con il più grande filosofo di cose occulte e di idee nuove per la coscienza moderna che il XIX secolo donò al mondo: Elifas Levi.








Gentilissima Redazione, vorrei segnalare una grave inesattezza contenuta nel testo. A Bronte i popolani non insorsero affatto contro i garibaldini e men che meno furono aizzati dai proprietari terrieri. La rivolta, con conseguente massacro di almeno sedici persone, prevalentemente, ma non solo, delle famiglie più abbienti, avvenne per una controversia legata alla divisione delle terre comunali e nel quadro di un antico conflitto con gli eredi di Nelson, al quale Ferdinando III aveva regalato la Ducea di Bronte.
Faccio solo rilevare infine che inneggiare “all’Italia” non figura affatto tra le parole d’ordine della rivoluzione del 1848.
Grazie per l’ospitalità.
Gentilissimo Augusto Marinelli, grazie per l’interessante contributo. Sarebbe interessante citare la fonte di provenienza di questa lettura storica. Saluti cordiali.
Gentile Redazione, per una prima informazione si può ricorrere agii atti del processo tenutosi a Bronte dal 7 al 10 agosto 1860 a carico degli accusati per l’eccidio, che si trovano pubblicati nel sito “Bronte insieme”, e allo studio di L. Riall, La rivolta. Bronte 1860, Bari, Laterza, 2012, che contiene qualche inesattezza ma anche un’ampia bibliografia. Cordialità
Ringraziamo Augusto Marinelli per la cortese e documentata risposta.
Gentile Redazione, mi scuso per questa nuova intromissione nel sito. Vorrei solo segnalare a eventuali lettori un vecchio libro, ormai dimenticato, ma molto ricco di informazioni sulla storia della Catania ottocentesca. Si tratta di Vincenzo Finocchiaro, Un decennio di cospirazione in Catania 1850-1860, Giannotta 1909, che a quel che mi risulta è reperibile anche in rete. Grazie dell’ospitalità.
Ringraziamo per il prezioso e qualificato contributo.