Interessante e rischioso il tentativo di mettere in scena il mito di Proserpina. Interessante per le risonanze: tutti, più o meno, crediamo di conoscerne la trama, quindi il racconto e la recitazione vanno a percorrere solchi ben scavati, profondi nella coscienza individuale di ciascuno di noi.

Regia di Alessandra Salamida. Produzione DIDE / Michele Di Dio management.
Se poi si tenta il passaggio alla coscienza collettiva, il primo intermediario sarà l’elezione dello spazio in cui la messa in scena si è svolta: l’ineffabile Teatro Antico di Catania, luogo incantato e prigioniero, a perfetta somiglianza delle anime che s’incarnano in questa terra ignea di tormenti e meraviglie sotterranee.

Questo teatro, la cui fondazione risale ai Greci, ha più di venticinque secoli di storia: ma di questi almeno otto sono trascorsi nell’oblio, nel senso che il teatro è stato ricoperto da edifici che lo hanno occultato alla vista. Ancora negli anni ’90 del Novecento questa situazione era attuale e soltanto alla fine di quel decennio il teatro è stato restituito alla luce (sebbene sia tutt’ora pressoché invisibile all’esterno, intercluso da palazzi ottocenteschi come la foto dimostra); tanto che Franco Battiato vi ambientava un filmato connesso a un brano non a caso intitolato Shock in my town (per gli interessati, si veda in fondo al presente articolo).
La casa per il mito è perfetta, dunque: l’obiezione che la leggenda di Proserpina è collocata da Ovidio (Quinto libro de Le Metamorfosi) nei pressi del Lago di Pergusa non è un dettaglio, ma si dovrà ricordare allora che, per andarla a cercare nei luoghi sotterranei intorno al lago, Demetra con passo olimpico attinge al fuoco dell’Etna per accendere due alberi e usarli come torce. Contiamo di vedere anche a Morgantina questa messa in scena, sì da portarla nel luogo di massima aderenza, teatro che, tra i teatri di pietra di Sicilia (Siracusa, Taormina, Tindari, Segesta, Selinunte), i puristi amano massimamente per essere luogo della massima libertà dalle contaminazioni della modernità.
Prima di andare ad un’analisi di questo spettacolo, si dovrà riflettere sul carattere sacro del mito di Proserpina. Non si tratta infatti di un dramma teatrale, non è uno scritto destinato a questo scopo come lo è invece un testo di Eschilo, di Sofocle o di Euripide: della leggenda del rapimento di Proserpina sopravvivono come fonti l’ Inno a Demetra di Omero e alcuni frammenti che fanno riferimento ai Misteri che si celebravano nei Templi, sul modello di Eleusi.
Sui Misteri di Eleusi i sapienti di ogni tempo si sono interrogati. In un libro del 1817, Essay on the Mysteries of Eleusis di Graf Sergeĭ Semenovich Uvarov, Antoine Isaac Silvestre de Sacy e James Christie, l’approdo interpretativo giungeva a definire questi Misteri come chiave di accesso alla società, strumento di cooptazione sociale per la definizione di racconti mitici condivisi e costruzione di un’identità allargata. Accogliendo questa definizione, riviviamo la stessa composizione della tetrapoli che precedeva i Greci: i capi di Longina, Luni, Cipriana e Nesima sarebbero così stati introdotti ai Misteri di Demetra e integrati in Katane, parte della superiore civiltà della Magna Grecia.
Questo livello resta insuperato e inattingibile. L’apparire delle religioni e il declino dei Misteri attestato già da Euripide e, peggio, da Platone, generano una confusione e un velo di incomprensibilità che avvolge la contemporaneità. Del resto, tutta la letteratura del Novecento può essere considerata espressione della irrapresentabilità del sacro.
Cosa dire dunque di questa messa in scena? La regista, Alessandra Salamida, nel proporre la sua versione, per indossare le vesti della Regina degli Inferi ha intagliato le sue parole traendole dal theasurus che trasporta la grecità di Omero ai latini Ovidio e Claudiano, fino alla revisione romantica fattane da Goethe e, con la complicità drammaturgica di Cinzia Maccagnano, per trasferirle all’interpretazione degli attori: Massimo Di Michele (Ade), Valentina Ferrante (Demetra), Alessandro Romano (Mercurio), Alessandro Mannini (Sole), Rita Abela (Parca), Chiara Pellitteri (Venere), Gaia Bevilacqua e Ginevra Di Marco (Erinni).
Ne scaturisce una lieve allegoria intinta di sangue. Storia al femminile, questa Proserpina che vuole e non vuole, luna che non appartiene alla terra ma che della terra non può fare a meno, che dalle viscere della terra è inorridita e attratta, e nella relazione con Plutone il sangue si avverte ovunque, sia nei momenti di libera gioia che in quelli di angosciata cattività, diade insostituibile per la rappresentazione esteriore della vita. I sei chicchi di melograna sono il sangue di un patto che significa: Rimango. Malgrado tutto, rimango. In cerca di Proserpina, alla fine si trova Persefone. E questa narrazione rimane, permane. Resta ricordo, fors’anche vago e insondabile, ma presente e futuro anteriore.

Una nota speciale va fatta per il progetto scenografico e i costumi di Vincenzo La Mendola, perfetto nel figurare aneliti minerali che dal sottosuolo si protendono al cielo, gravati di teschi di buoi, figurati allucinatoriamente in un color bronzo che esprime un muto suono metallico, effetto amplificato dalle luci di Elvio Amaniera. Lo scenografo ha messo a disposizione dell’organizzazione la sua esperienza nella valorizzazione dei tessuti artigianali siciliani, traferendola alle Scuole partner di questo importante progetto: Liceo Ginnasio Statale “Cutelli-Salanitro”, Liceo Artistico “M. Lazzaro”, Istituto Superiore “Lucia Mangano” (coordinamento a cura della Prof. Elisa Colella e Dott. Cristina Calantropio), che hanno collaborato alla creazione dei manufatti.
Oltre alla dimensione degli spettacoli in sé considerati, è importante sottolineare il valore didattico dell’Amenanos Festival, elemento aggiuntivo di apprendimento e confronto con le radici della nostra cultura, punto di trasformazione e vertice dell’intera operazione, che permette di guardare al teatro come movimento di elaborazione sociale i cui effetti si estendono oltre le percezioni immediate e costituiscono fattore di rigenerazione urbana con significato economico che i responsabili di funzioni pubbliche dovranno guardare con attenzione e sostenere con impegno e intelligenza.
(articolo di Davide C. Crimi)