Sonetti Ribelli

Giovanni Canzoneri non si allinea. Il poeta-operaio vuole dire la sua. Non può tacere, e non tace. La sua voce è necessaria, anche quando va fuori riga, fuori misura, fuori strada, fuori. Come quando chiama queste composizioni “sonetti”. Non ne hanno la forma, la veste, la misura, il metro. Dichiara Olmo Losca nella sua introduzione: “…non sono composti da quattordici versi, non sono endecasillabi, non sono divisi in due quartine e due terzine, non seguono uno schema di rime…”  Per conseguenza dovremo fare uno sforzo per portare la comprensione ad un livello più elevato. Cosa significa oggi “ribellarsi”? 

In questo interrogativo si nascondono più di un dubbio e più di una sfida. La questione ha una sua tradizione, specialmente portata a compimento dall’avanguardia russa di primo Novecento: la poesia popolare si deve esprimere con parole e frasi semplici, comprensibili a tutti, oppure può far uso di termini inusuali e sintassi sofisticate? Secondo gli Acmeisti, non si tratta di abbassare la poesia al livello del volgo, ma di far ascendere il volgo alla dignità di popolo: attraverso la proprietà linguistica, di cui il poeta è il vate. Peppino De Filippo diceva: “Le parole sono lì, non si pagano. Sono di chi se le prende, di chi sa il significato“. Una vecchia scritta negli anni ’70 faceva parlare i muri così: “Il padrone è padrone perché conosce 10.000 parole“. E allora, prendiamocele queste parole. Era questo l’intento del teatro didattico di Brecht, di Piscator. Se devono esser sonetti, lo siano.

Da quando sappiamo che il linguaggio è l’inconscio e l’inconscio è il linguaggio, possiamo certamente individuare quest’istanza nell’Autore dei “Sonetti Ribelli”: come se la Scola Siciliana, quella su cui Dante edificò la lingua italiana come lingua di protesta che si sottrae al potere costituito, fosse la pulsazione inconscia che sta al di sotto e al di sopra di questo libello ribelle che, anche qui non a caso, dopo aver vagato sui temi classici dell’irredentismo denazionalizzato con la A maiuscola, chiude il sipario con un bestiario che rimanda alla fattoria degli animali e si apre con una dedica per antonomasia ai poeti popolari. 

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