Dal ciclo di Edipo, “Sette contro Tebe”

Debutto a Catania dell’Amenanos Festival 2024 con «Sette contro Tebe».

La magia del teatro antico funziona sempre sia perché le pietre contengono memoria minerale di epoche remote che ci appartengono, sia perché i testi del dramma sono veicolo di temi della coscienza che attraversano tutti i secoli restando presenti, immutabili e potenti.

Lo spazio di rappresentazione, il Teatro Antico di Catania, è ancora oggi luogo misconosciuto, restituito alla città dagli anni Ottanta e disponibile agli spettacoli da ancora minor tempo. Amenanos Festival (creazione di Associazione culturale DiDe – produttore Michele Di Dio) è occasione importante per riconquistare alla coscienza individuale e plurale della città un luogo che si pone a fondamento dell’anima collettiva.

Amenanos Festival, Teatro Antico di Catania.
Sette contro Tebe, Regia di Cinzia Maccagnano, 2024

La tragedia andata in scena questa sera, Sette contro Tebe, ha una trama le cui premesse sono radicate nella terribile vicenda di Edipo.  Si tratta del conflitto tra i figli, Eteocle e Polinice.

Eteocle (Simone Ciampi, in equilibrio tra i molteplici dubbi del personaggio) è rimasto in città, ne è il reggente temporaneo, con l’ accordo di alternarsi nel regno con il fratello. Giunta la conclusione del periodo però non cede ed ottiene che Polinice sia costretto a rimanere esule.

Polinice (Valerio Santi, abile nel cavalcare l’onda d’ira e ristabilirsi nei momenti di introspezione) non può che ritenere ingiusto questo destino. Chiama a raccolta alleati per entrare a Tebe e conquistarla.

Eschilo, l’autore di questo classico senza tempo (qui nell’arguta neutralità della messa in scena di Cinzia Maccagnano), trascolora il tema della contesa e della vulnerabilità: le sette porte della città sono metafora del corpo umano, aggredite da sette nemici potenziali e oscuri, non visibili, di cui soltanto s’ode parlare. Il problema non sono i nemici, è l’integrità della persona. Eteocle con i suoi dubbi, si scaglia contro il femminile, contro le donne, contro i nemici, contro qualcun altro che non sia il suo «io», le sue paure e, pur nella ragionevole coscienza di essere in errore, senza capire per quale motivo. Non è il nemico esterno; non è l’aggressore: piuttosto è la coscienza interna e la disgregazione dell’io quel che conduce la persona, la città, la patria, a disgregarsi, a dissolversi, a farsi polvere.

Al Coro (trainato dalle corifee Rita Fuoco Salonia e Marina La Placa e composto da Giulia Galiani, Maria Chiara Pellitteri, Federica Gurrieri, Gaia Bellacqua, Lorenza Denaro) è affidata l’onda emozionale che spesso si traduce in canto, generando un effetto narrativo di contrappunto ed armonia rispetto alla narrazione.

I personaggi che assumono la forza scenica di carattere (Horkos, interpretato da uno spettrale Salvo Lupo, incarnazione della maledizione che pesa sulla stirpe dei labdacidi; il Messaggero, interpretato da Alessandro Romano; l’Araldo, interpretato da Alessandro Mannini), appaiono tutti venati dall’incombente presagio di ciò che deve e non può non accadere.

Il finale è tragico: non potrebbe essere altrimenti. Polinice entra nella città per un fatale corpo a corpo con il fratello cioè con il suo stesso corpo, la sua stessa carne, il suo medesimo sangue: e l’un l’altro si danno il colpo mortale.

Il finale del finale è il momento dell’editto in base al quale Eteocle potrà essere sepolto: non così Polinice.

A questa insopportabile ingiustizia si ribellano le sorelle Ismene (una mesta e ieratica Maria Chiara Pellitteri) e Antigone (Giulia Galiani, che qui annuncia con carattere la passione che la condurrà al suo destino), ribaltamento al femminile della stessa unica anima che condividono indissolubilmente con Eteocle e Polinice: tutti e quattro figli della stessa madre, Giocasta, e dello stesso padre che di Giocasta è figlio, tutti avvolti nell’oscuro presagio della Sfinge (adombrato nella saturnea scenografia di Vincenzo La Mendola,  creatore anche dei costumi e dei vessilli, illuminato a tinte fosche inframezzate da lampi di coscienza dalle luci di Elvio Amaniera ed emotivamente permeato dalle musiche originali di Marco Podda).

Si apre qui l’anticipazione di quello che sarà un nuovo terribile dramma e cioè la vicenda di Antigone, che è anche l’altro spettacolo in sequenza di questa edizione dell’Amenanos Festival, di cui si rimanda alla relativa recensione.

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.