Due idee di Israele

Si potrebbe dire che esistano, da sempre, due idee di Israele. La prima è quella messianica del “popolo eletto”, interpretata come un destino di dominio e sottomissione dei nemici; la seconda è quella del “popolo di sacerdoti, luce per le nazioni”, interpretata come mistica fiaccola di libertà.

La prima visione, evidentemente più aggressiva, trova i suoi riferimenti nei passi più duri dell’Antico Testamento. La seconda, mistica e orientata a un futuro di pace universale, risiede nelle parole dei Profeti, in particolare di Isaia.

Proprio alla prima idea – intesa come volontà di potenza – si rifanno i “Protocolli dei Savi Anziani di Sion”. È bene ricordare che tale testo è un falso storico accertato, creato dalla polizia segreta zarista e ampiamente utilizzato nel secolo scorso dalla propaganda nazifascista per dipingere l’ebreo come il nemico delle nazioni, intento a sovvertire gli ordini costituiti attraverso il potere del denaro.

La seconda idea è invece talmente metafisica da postulare un “Regno di Israele” privo di terra e di beni materiali. Esso si risolve interamente nella custodia e nella trasmissione del culto di un Dio dal nome impronunciabile, per il quale persino il concetto di “Dio” appare come una limitazione intollerabile.

È noto che, quando la Chiesa divenne religione dell’Impero Romano, i teologi dell’epoca accusarono gli ebrei di “deicidio”. Al di là dell’evidente insostenibilità logica di tale accusa – a meno di non scivolare in un materialismo incompatibile con la teologia stessa – resta il fatto che questo stigma ne ha determinato per secoli la segregazione. Non è un caso che molti intellettuali e attivisti ebrei abbiano poi giocato un ruolo cruciale nella diffusione dell’Illuminismo, cercando nella Ragione un riscatto dalle nebbie dell’oscurantismo.

Esclusi dalle funzioni pubbliche e spesso privati del diritto di proprietà, molti ebrei europei si dedicarono al commercio e al credito, arrivando a finanziare le stesse case regnanti e le loro guerre. Emblematico è il caso di Amschel Mayer, fondatore della dinastia Rothschild (così chiamata dall’insegna rossa della sua casa a Francoforte), al quale è attribuita la celebre frase: “Lasciate che io controlli il denaro di una nazione, e non mi importerà di chi fa le sue leggi”.

Questa tensione storica attraversa la Rivoluzione Francese e il Risorgimento, e giunge fino ai giorni nostri.

Un’ultima riflessione riguarda la diaspora. La storia ebraica è intessuta di “marranesimo”: una secolare vicenda di contaminazioni, matrimoni misti e oscillazioni tra assimilazione e recupero delle radici. Appare quasi sorprendente che oggi molti “ebrei di ritorno” – persone che avevano smarrito il legame con la tradizione nel corso dei secoli – siano tra i più convinti sostenitori del sionismo più radicale. È un fenomeno che stupisce, ma non deve meravigliare: persino il famigerato Torquemada, l’inquisitore che spinse i Re Cattolici all’espulsione degli ebrei dalla Spagna nel 1492, pare avesse origini conversas. (Per questo specifico argomento, cfr. Il sionismo dei non-ebrei e la dichiarazione Balfour, di R. H. S. Crossman e Dante Lattes, pubblicato su La Rassegna Mensile di Israel – pp. 535 e segg., pubblicato da Unione delle Comunitá Ebraiche Italiane 1962, terza serie, Vol. 28 n. 12).

Poiché la dottrina ebraica è per eccellenza dottrina della Sapienza, è doveroso pensare che molti agiscano e formulino le proprie opinioni sulla base di un sapere parziale. È proprio questa prospettiva limitata – condizione ontologica dell’essere umano – a impedire ad alcuni di vedere che, oltre il sionismo politico, esiste un’altra idea di Israele: quella che conduce alla Gerusalemme Celeste. Un’idea che fa delle Dodici Tribù non un esercito di guerrieri, ma un popolo di Sacerdoti, custodi attenti del progresso spirituale dell’umanità.

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