Appunti sull’ONU – Sapere per il Futuro

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Tra le fonti di informazione ufficiali, è veramente raro che si parli dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Quasi nulla si dice delle politiche che cerca di imprimere sugli stati nazionali, sui tentativi di risoluzione pacifica dei conflitti. Qui qualche scampolo, tra cui l’intervento di Assange e una esposizione di Jeffrey Sachs sulle posizioni America-Russia. Quando si parla dell’ONU generalmente si restringe l’informazione all’invio dei “caschi blu”, alla legittimazione di un intervento militare. Quasi mai si scrive o si dice qualcosa sui tentativi di risoluzione delle controversie internazionali, quasi niente sugli aspetti di costruzione del mondo nuovo, di una Organizzazione delle Nazioni Unite.

Quanto ai programmi scolastici, le istruzioni ministeriali non contemplano che pochi cenni sull’Organizzazione delle Nazioni Unite.

Il risultato che ne consegue è che quasi nessuno sa qualcosa su ciò che ha portato al formarsi storico dell’ONU. Non si vuol dire tanto del retroterra della Repubblica dei Filosofi del pensiero greco o dell’illuminismo moderno e dell’Età della Ragione, ma almeno del più diretto antecedente, e cioè la Società delle Nazioni.

All’inizio del secolo scorso, con grandi speranze, la Società delle Nazioni fu portata avanti dai più grandi intelletti dell’epoca, con una straordinaria convergenza di forze, che però ebbe un drammatico punto di debolezza sin dalla costituzione in quanto, sebbene il presidente degli Stati Uniti d’America Woodrow Wilson fosse stato uno dei suoi principali promotori, non ebbe poi il mandato dalla formazione assemblare degli USA – il Congresso – per sottoscrivere l’adesione degli Stati Uniti alla Società delle Nazioni.

Quel che ne conseguì fu la sostanziale inadeguatezza rispetto alle grandi crisi che nellaa prima metà del Novecento la Società delle Nazioni dovette affrontare. Queste crisi condussero a due guerre mondiali che furono considerate fallimento della Società delle Nazioni, decretandone il conseguente scioglimento.

La formula «Organizzazione delle Nazioni Unite» è chiaramente più debole della «Società delle Nazioni», perché una organizzazione – a differenza di una società – è una struttura di soft power, che non ha un autentico potere prescrittivo. Questo significa che le nazioni continuano ad essere il fattore ostativo alla costruzione di un mondo guidato in maniera cooperativa da tutti gli stati nazionali, che rinunciano a parte della loro sovranità per una più razionale gestione delle risorse collettive fondamentali come l’aria, l’acqua, l’ambiente, la natura in generale e le risorse energetiche in particolare.

Le risorse energetiche sono la principale causa dei conflitti alla base della Seconda guerra mondiale, che fu causata dal conflitto tra gli Stati Europei sul carbone e l’acciaio: non a caso la prima organizzazione Europea fu la Comunità economica del carbone e dell’acciaio.

La Prima guerra mondiale  ha anch’essa nelle fonti energetiche – soprattutto la siderurgia – il suo principale elemento di crisi che quindi non riguarda il popolo ma piuttosto quelle ristrette élites che riescono ad avere egemonia sugli stati nazionali, determinandone le politiche e, attraverso elementi ideologici o religiosi o la combinazione dei due, riescono a convincere le persone con la menzogna che la guerra è bella, che la guerra è giusta, che la patria è il dovere.

Popoli, non nazioni

Se si vuol parlare di patria, ripartiamo dalla grande tradizione repubblicana mazziniana, la via italiana che va verso la Federazione Mondiale delle Nazioni Unite.  Mazzini si inserisce in un contesto europeo e occidentale che proprio la sua condizione di esule richiedette alla sua anima. Poter espandere il suo influsso su un arco più vasto fu per lui conseguente ai contatti con il filosofo inglese Carlyle, alla vicinanza al pensiero di Proudhon, la conoscenza delle opere dei trascendentalisti americani, dell’idealismo esoterico di Helena Petrovna Blavatsky, delle nuove idee del dovere come Dharma  che provenivano dalle traduzioni del pensiero orientale dal sanscrito.

Tutto questo è alla base di quell’idea che vede la società dei popoli come entità spiritualmente distinta dalla società delle nazioni.

Nelle guerre, le divise possono avere colori diversi, ma gli uomini hanno gli stessi bisogni e non hanno motivo di uccidersi l’un l’altro: sono mandati da qualcuno in nome di interessi e difesa di privilegi. Questa è la finzione delle nazioni ennesimamente disvelata dalla prima pagina del Manifesto di Ventotene, documento alla base dell’Unione Europea e tuttavia ancora ignota al grande pubblico che si abbevera alle fonti di un’informazione manipolata dal Capitale, il vero Grande Fratello, e più che mai degradata a propaganda.

Non ci sono guerre giuste è un verso di Ezra Pound, un altro grande intelletto ingiustamente schierato in modo improprio e inconsistente rispetto alla verità del suo pensiero: l’eventuale adesione a una certa destra è da ricondurre all’ipotesi di lotta al capitalismo che sembrava poter rigenerare. Al di là delle nazioni è il capitale, il dominatore del mondo, che si esprime attraverso l’interesse dei pochi ricchi che hanno messo le loro unghie e i loro artigli su monopoli che comportano lo sfruttamento. E quando questo monopolio è minacciato da qualcuno, ecco mettersi in moto la macchina di morte dell’Aquila imperiale – o forse sarebbe più proprio dire del Minotauro di Wall Street o forse ancor di più del Moloch dell’Urlo e della Bomba della beat generation: tutte immagini attuali che devono ancora poter evocare la voglia di essere liberi, di non essere condizionati dalla nazione o dalla religione o dalla leva obbligatoria o dall’idea di dover andare a combattere in nome di non si capisce qual imprecisato fine.

Come nel film Hair, è la morte insensata di un hyppie, che in quella favola triste va a sostituire un ragazzo che non sa perché è chiamato alle armi. O come il cranio fracassato del poeta Guillaume Apollinaire, quello degli Undicimila cazzi, che partì declamando poesie futuriste in gloria alla guerra e tornò mutlato. Come nella canzone Knocking on heaven’s door.

Ecco, non ci sono guerre giuste; non c’è niente per cui combattere. C’è solo da capire di più e la musica, questa energia disarmata, è il veicolo più adatto per condurre all’intuizione di ciò che può essere il senso spirituale della libertà.

Ascolta I’m not the DJ di Surya Hipster su #SoundCloud
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