MEDEA: scontro tra io e non-io

La Medea di Seneca è una donna che infrange continuamente il confine tra io e non-io, che oscilla tra condizione reietta e senso di onnipotenza, che sbatte contro disprezzo del virile e rifiuto del femminile. Più e altrimenti che in Euripide, più che in altre versioni, da Corneille a Pasolini, questa di Seneca – in scena con sotterraneo clamore al Teatro Antico di Catania, regia di Daniele Salvo e ruolo protagonista di Melania Giglio – non ha risparmiato nulla degli eccessi di questa maga dell’oscurità che si agita dentro di noi.

Medea di Seneca – Teatro Antico di Catania – 2025

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In fondo, dichiara il monologo di apertura, si tratta semplicemente di una tragedia coniugale. Lei, la figlia di un Re; lei, la donna del Vello d’Oro, colei che ha incantato gli Argonauti, colei che mai avrebbe pensato d’essere un giorno tradita e messa da parte dall’uomo che più nella vita ha sentito di amare. Un amore certo, sicuro, indissolubile: Giasone, l’uomo per cui ha fatto tutto. L’uomo per cui ha fatto troppo.

Melania Giglio è una sfinge che canta. Il ruolo di Medea è perfetto per lei. Lo divora e ne è divorata. Attraverso questa autofagia, la sua Medea si trasforma continuamente. Le influenze shakespeariane si sentono quando il personaggio muta atteggiamento in funzione del potere, come una Lady Macbeth. O Gonerilla. Medea le trascende entrambe quando passa all’evocazione di Ecate, la Luna Assente, divinità segreta che si nasconde nel nome della città. Per intuizione indotta, il Teatro Antico di Catania in qualche istante rivela al pubblico tutti i suoi secoli. Il testo di Seneca evoca le potenze sotterranee, i recessi dell’Etna, Scilla e Cariddi, le forze oscure tutte. La voce di Melania non si limita a dire: attinge agli infrasuoni, e vaga a lungo e a più riprese dov’è la sede dello spirito della tragedia. Fino alle viscere, fino a non comprendere più qual è il confine tra lei stessa e le creature cui ha dato vita, in un unico desiderio di eternità, un per sempre rovesciato nell’annientamento.

Daniele Salvo, il regista, si è affermato come una delle voci più interessanti e audaci del panorama registico italiano, caratterizzandosi per una vocazione a infondere nuova linfa a testi antichi. Regia che si distingue per i toni viscerali e onirici, che in questo caso vengono spinti fino al livello del trauma, con gli attori e i corpi del coro che sommuovono il pubblico a condividere l’impatto emotivo. La scelta di affrontare la “Medea” di Seneca al Teatro Antico di Catania non ha nulla di casuale. Forgiatosi attraverso le esperienze di formazione con maestri tra cui Luca Ronconi, Daniele solleva la forza tragica del testo antico con leve contemporanee e atemporali. Il maestoso contesto archeologico è parte integrante della narrazione, amplificando il dramma, traendo energia addizionale dalle rovine cariche di storia e dall’immagine acustica interna al teatro di pietra.

Dramma che si direbbe non concentrarsi sulla vendetta, almeno non quanto sull’alienazione dell’identità. Medea ha visto andare in pezzi la sua identità, e assiste al sorgere di una nuova, terribile, inaccettabile: la figlia del re sta per divenire una ripudiata, un’esiliata. Ecco il motore della sua follia, della sua brutalità. I monologhi interiori, le psicologie dei personaggi che le ruotano intorno, tutto è terreno fertile per esplorare le dinamiche della condizione umana, spinta ai limiti dell’impossibile da sopportare. La vendetta di Medea non è solo rivolta a Giasone – qui interpretato da Michele Lisi, che gioca la sua parte tra desiderio di potere e volontà di mantenere un impossibile equilibrio – ma è un tentativo, universale e disperato, di annullare il “non-io” che la minaccia.


Creonte è una figura chiave nella tragedia di Medea. Re di Corinto, è lui che decide di cacciare Medea dalla città per proteggere sua figlia Creusa, promessa sposa a Giasone, vera causa dell’inevitabile declino di Medea, che dunque vede in Creonte la personificazione degli ostacoli alla sua felicità, alla sua dignità. L’interpretazione che ne dà Alfonso Veneroso è perfetta nel cogliere la passione retorica del potere: enunciati solenni e azioni incerte, dilazionate, mediate, mettendo in scena un colosso che tenta di nascondere la fragilità del potere di fronte alla forza inarrestabile delle emozioni e dei dubbi.

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TEATRO ANTICO DI CATANIA FESTIVAL AMENANOS

VI EDIZIONE – MMXXV

Medea di Seneca

Traduzione e adattamento: Daniele Salvo e Melania Giglio Regia: Daniele Salvo Medea: Melania Giglio Giasone: Michele Lisi Creonte: Alfonso Veneroso Nutrice: Marcella Favilla Coro: Simone Ciampi, Silvia Pietta, Cinzia Cordella, Salvo Lupo Produzione: MICHELE DI DIO / ASSOCIAZIONE CULTURALE DIDE

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