Tutti dovrebbero occuparsi di teologia e questa dovrebbe essere in assoluto la materia più idonea ad esprimere l’anelito di libertà, la scintilla divina che c’è in ciascuna persona.
Naturalmente non è così, anzi: la teologia è considerata un sapere riservato, esclusivo dei grandi sapienti. Un tabù del pensiero.
Occuparsi dell’anima, dello spirito, non è concesso a tutti nel pensiero religioso ma, al contrario, è un sapere confinato, prerogativa esclusiva di una casta sacerdotale, di un clero.

Il tema è antico e sta alla base della produzione storica dei corpi religiosi: nel cristianesimo, nell’islam, nell’ebraismo, nell’induismo, nel buddhismo. Ovunque si è formata una classe sacerdotale, un clero a difesa dell’indimostrabile.
A chi propugna la libertà per ciascuno di occuparsi del sacro, a questa istanza di libertà individuale e conoscitiva, di solito si controbatte argomentando che il sapere necessario è troppo elevato per la gente comune.
È evidente che l’istanza di apertura a tutti non è mai stata accolta positivamente da nessun clero. Cristo e Buddha, che storicamente rappresentano la volontà di estendere la spiritualità a tutti, furono giudicati eretici proprio dal clero delle rispettive tradizioni (i leviti e i brahmani).
La libera interpretazione della Bibbia è sempre stata osteggiata. I nomi di John Wycliff e di Erasmo da Rotterdam dovrebbero essere sufficienti a comprendere questo tema. Se non lo fossero, potremmo aggiungere quello di Giordano Bruno.
Quando venne inventata la stampa a caratteri mobili, con cui la Bibbia giunse a un numero di persone precedentemente impensabile, il nuovo mezzo venne considerato dalla Chiesa un’invenzione del demonio.
Sulla base di questi presupposti proponiamo questa riflessione teologica a partire dal dall’incipit del Vangelo di Giovanni, così permettendo di osservare, facendo le domande giuste, cosa si può ottenere attraverso l’intelligenza artificiale (confermando dunque, alla luce della tecnologia, che in teologia non si danno risposte, ma soltanto domande).
Ciò che prima era segreto, recondito o occulto oggi emerge con grande velocità, con superlativa rapidità, con perfetta precisione, con assoluto rigore scientifico.
Ecco il quesito che presentiamo come esempio.
Caro Gemello, poiché appaiono diverse traduzioni dell’incipit del Vangelo di Giovanni,
[1] In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. [2] Egli era in principio presso Dio: [3] tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. [4] In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; [5] la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta.”
in particolare dell’ultimo verso (tra cui “ma le tenebre non l’hanno ricevuta” e “ma le tenebre non l’hanno vinta”), puoi darmi notizia dell’evoluzione interpretativa dei termini scelti e della versione greca da cui dipendono?
Risposta AI [Gemini]:
La variazione nelle traduzioni dell’ultimo versetto del prologo di Giovanni riflette sfumature presenti nel testo greco originale e diverse interpretazioni teologiche nel corso della storia.
Analizziamo l’evoluzione interpretativa e la radice greca.
Il testo greco originale: il versetto in greco è: καὶ τὸ φῶς ἐν τῇ σκοτίᾳ φαίνει, καὶ ἡ σκοτία αὐτὸ οὐ κατέλαβεν. La frase cruciale qui è “οὐ κατέλαβεν” (ou katelaben).
Il verbo katalambánō (καταλαμβάνω) è polisemico, ovvero ha diversi significati possibili, tra cui:
Comprendere, afferrare con la mente: in questo senso, la traduzione “non l’hanno compresa” o “non l’hanno accolta” (nel senso di capire e accettare) è valida.
Sconfiggere, sopraffare, avere la meglio su: questa accezione porta alla traduzione “non l’hanno vinta” o “non l’hanno sopraffatta”.
Raggiungere, ottenere, impossessarsi di: da qui potrebbe derivare un’interpretazione meno comune legata al non “ricevere” nel senso di non ottenere o non fare proprio.
Evoluzione interpretativa: le diverse traduzioni riflettono l’enfasi che i traduttori e gli interpreti hanno posto sui diversi significati di katalambánō e sul contesto teologico del prologo di Giovanni:
“Non l’hanno accolta” / “Non l’hanno ricevuta”: questa interpretazione si concentra sull’idea che il mondo e l’umanità non hanno riconosciuto o accettato la luce divina portata dal Verbo (che i cristiani identificano con Gesù Cristo). Questa lettura sottolinea la resistenza e l’incredulità di fronte alla rivelazione divina. È una traduzione molto diffusa e si adatta bene al tema del rifiuto di Gesù che emerge nel resto del Vangelo di Giovanni.
“Non l’hanno vinta” / “Non l’hanno sopraffatta”: questa interpretazione pone l’accento sull’invincibilità della luce di fronte alle tenebre. Nonostante l’opposizione e il male presenti nel mondo, la luce divina permane e non può essere annullata o sconfitta. Questa lettura enfatizza la potenza e la resilienza della verità e della vita divina. Questa interpretazione ha guadagnato popolarità in tempi più recenti, forse in un contesto di maggiore consapevolezza della lotta tra bene e male.
La scelta della traduzione: la scelta tra queste traduzioni spesso dipende dalla prospettiva teologica e dall’enfasi che si vuole dare al versetto. Entrambe le interpretazioni hanno un solido fondamento nel significato del verbo greco e nel contesto del Vangelo di Giovanni.
Se si vuole sottolineare la responsabilità umana nel rifiuto della rivelazione divina, “non l’hanno accolta” o “non l’hanno ricevuta” sono scelte appropriate.
Se si vuole evidenziare la potenza e l’indistruttibilità della luce divina di fronte all’oscurità del male, “non l’hanno vinta” o “non l’hanno sopraffatta” sono più adatte.È importante notare che non esiste una singola traduzione “corretta” in assoluto, poiché la ricchezza del greco permette diverse sfumature. Le diverse versioni offrono quindi prospettive complementari sulla dinamica tra la luce e le tenebre presentata nel prologo giovanneo.
