Sulla canzone come lettera (e sul glamour come problema)

Quest’anno ci sono riuscito: non ho visto neanche una puntata del #Festival. Né l’iniziale né la finale né nulla intermedio: tuttavia nessuno rimane immune al virus di #Sanremo e, lo si voglia o no, è chiaro che la quantità di immagini e parole intorno all’evento canterino d’Italia ha un impatto da non poter scampare quest’influenza stagionale che, in modo lieve o in modo acuto, finisce inesorabilmente col prendere tutti.

§1 Contro il glamour

Per inciso, il mio annuale tentativo di scamparla dipende anche dal fatto che siccome, come quasi tutti in Italia, ho la pretesa di scrivere canzoni anch’io, tento di rimanere esente da condizionamenti di moda: quest’anno in specie ce l’avevo quasi fatta; senonché sbuca fuori questo improbabile contafrottole che oltretutto con la moda ha persino molto a che vedere nel suo tratto iniziale. A me il glamour non piace affatto, lo trovo oscurante e oscurantista, così mi dispongo a relegare il bambolo nello scaffale «Emulatori Bowie».

Però c’è anche il trucco da Pierrot che, ben compreso, è una citazione del Dylan di «Rolling Thunder Revue» che, a sua volta, cita il mimo Baptiste Debureau (re-citato dal mimo Lindsay Kemp che lo ri-trasmette a Bowie): questo gioco di rimandi genera la necessità di un approfondimento prima di aderire incondizionatamente all’idea gioiosamente nichilista di considerare tutta la gente di spettacolo per quel che è – frattaglie da tritacarne – e dunque farlo fuori senza pietà, dimostrandone la consueta inconsistenza: ma quella maschera significa non-io e quindi la preda sfugge e forse non è preda ma predatore.

§2. Contro il pregiudizio

Visto che tutto quel che ho detto parte pregiudizialmente dall’immagine, senza conoscer nulla del repertorio e senza aver sentito alcunché, ho ritenuto giusto fare almeno una sfarfallata e andare a constatare, tendenzialmente per confermare il pregiudizio. La prima che trovo è «Francis Delacroix», una frottola nel senso più autentico, cioè composizione sul modello rinascimentale, moderna reinterpretazione di cui s’avverte il remoto influsso della lirica trobadorica provenzale. Ritmo vivace, melodia orecchiabile e testi scherzosi con venature ironiche. Di questo genere, l’indiscusso riferimento italiano è di certo Rino Gaetano, se non vogliamo richiamare gli autentici medievali, come la magnanima impresa dell’ “Ostinato vo’ seguire” del Tromboncino.


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§3. Contro l’autotune

Pur mediato dall’ironia, il richiamo alla poesia è fondato? La frottola ha parentela diretta con il madrigale, quindi il potenziale c’è, forse anche su toni più impegnativi. Così dò un’altra occhiata e m’imbatto in «Nel cuore della notte», che in effetti è un brano meraviglioso, a parte qualche rischio di deriva retorica da favola a lieto fine, che tuttavia ha un suo qualcun perché. E poi c’è il musicista; due brani nudi: uno chitarra e voce, l’altro pianoforte e voce. Niente orchestra, niente campionamento di base, niente “autotune” ma solo strumento e voce. Come si faceva un tempo. Come si dovrebbe per chi vuol dire di far musica.


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§4. Sul metodo paranoico-critico applicato alle comunicazioni di massa

Da questa ricognizione scaturisce la considerazione che forse finalmente il XXI secolo ha prodotto qualcosa di nuovo che eccede la scorta del glamour inconsistente di personaggi tutti vestiti e/o poco vestiti e niente contenuto. Ribadisco: occhio al glamour, perché è oscurantista. _Così sostengono le scuole della Quarta Via ed io – mettendomi sulle orme dell’asse Sgalambro-Battiato che conducono a Gurdjieff – mi colloco in sedicesima fila su questa linea del metodo paranoico-critico per l’esegesi del razionale delirio delle comunicazioni di massa.

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§5. Sul caso in esame (?)

In effetti, non c’è solo la moda, né la mera emulazione estetica: c’è anche qualcos’altro, e va riconosciuto come artistico. C’è poi una produzione commerciale, che forse ha pagato (nel caso, lautamente) l’inavvertito “primo” per uscire e lasciar disponibile il posto per la gita all’eurofestival dell’Europa in declino. C’è l’insanabile antinomia tra arte e spettacolo, che non può essere certo risolta quando il medium è la televisione. E c’è il duetto con Topo Gigio, studiato evidentemente dai produttori, per un definitivo pass di accredito tra i classici del pop italiano. Per inciso, la canzone per il festival sembra un restiling de Il tuffatore, sua non-sua. Ma va bene anche così. Tutte le canzoni sono remake di altre canzoni.  Solo il tempo può compiere un giudizio qualificato, il contrario dell’immediatezza.

A proposito di tempo si nota che, cronologicamente, questo Sig. Corsi è ancora uomo del Novecento; nel senso proprio che non è nato nel XXI secolo. Quindi, sebbene sia da tenere in considerazione l’ipotesi che chi scrive invidii la sua età ed il suo talento, il ventunesimo secolo sembra ancora in attesa di produrre il suo primo frutto maturo. Forse 25 anni sono pochi e i tempi del pensiero sono diversi e più lunghi, però Corsi ha il merito di qualificare un cambiamento che fino ad ora era stato solo finto e che probabilmente lo è ancora, ma con una direzione tendenziale diversa. Occorrerà adesso interpretare avvertire decodificare.

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§6. Cordiali saluti e dedica

Da parte mia, posso solo esprimere un cordiale saluto ed una dedica con le parole di Luigi Tenco. E pazienza se non vi piacerà la mia esecuzione: mica si deve piacere per forza. L’importante è aver qualcosa da dire. Anche quando non sei tu.

Un’ultima considerazione: nella sua verità ontologica, eseguire una canzone con certe intenzioni equivale a scrivere una lettera, il cui successo è arrivare al cuore anche di una sola persona. Il vantaggio della canzone rispetto alla lettera di carta è ben noto e sta nella possibilità di sostenere l’impianto emozionale con la musica e così arrivare al cuore più direttamente e con più forza di tensione. Non tutte le canzoni sono così, certo. Né tanto meno tutte le esecuzioni. Certamente lo sono alcune.

A MIO FIGLIO

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