[Album(c)2025]

Prima o poi tutti avranno sentito parlare di Davide Poëbau. Sul suo repertorio c’è molto da dire, c’è talmente tanto da dire che è inutile spendere troppe parole. La tavolozza dei colori si estende dal rosso del vino al nero della disperazione, dal giallo della sfrenata allegria al bianco della spiritualità più rarefatta; ovunque è intinto del blue(s) della malinconia della vita che scivola e se ne va.
Può darsi che sia lo stesso autore che torna su qualcosa che aveva fatto già o aveva già fatto durante vite precedenti e sotto altre spoglie. Può darsi si trovi qualcosa da un rigattiere, e ci lavori su. Solo con la musica è possibile andare su un gioiello e rifarlo, in tutto o in parte, anche in ragione del tentativo di sublimare il limite tecnico espressivo. Altra specialità del repertorio è cantare canzoni con parole diverse, retouchées come in pittura: dipinti già fatti che vengono trasformati in qualcosa di nuovo.
Dal punto di vista squisitamente musicale, se qualcuno dovesse chiedere, alla base e al vertice c’è il libro di liberazione The Folksinger’s Guitar Guide di Pete Seeger, che con poche pagine dimostra come la chitarra suoni da sé se appena sfiorata e che con tre dita, sapendo a malapena dove posizionarle, si fa un accordo. E con un accordo solo si può fare una canzone. Spesso era così il blues del delta, cento anni fa, quando cominciarono le prime registrazioni. I brani di un accordo solo erano soprattutto in Mi minore o in Mi 7, ma non era soltanto questo, il blues.
Per attualizzare le idee Poëbau, seguendo la biografia di Keith Richards – Life – enuncia l’idea con la nobile intuizione che per suonare la chitarra bastano tre dita e uno stronzo. Questa battuta è tipica di un certo modo di fare e di essere dei sedicenti musicisti del rock (che quelli del blues consideravano la forma facile e banale per andare tranquilli sicuri di non sbagliare, solo accordi senza barré). Ma sarebbe ingiusto farla diventare un giudizio sul prezioso libro di Master Keith che, pur prevalentemente posizionato su vicende di vita vissuta, qua e là si fa anche politico e fa vedere cos’è stato il ‘68 e come si è manifestata l’onda repressiva che conduce al presente.
Non è di questo che si tratta qui, ma non avremmo detto nulla di Poëbau se ne tacessimo la propensione letteraria. È la letteratura che lo conduce alle origini del blues (Really the blues di Mezz Mezzrow, il libro che ha indotto Woody Allen a suonare il clarinetto è una fonte strepitosa; la tesi di laurea di John Fahey su Charley Patton è un’altra pietra miliare, come le registrazioni di Alan Lomax, etc. salute).
Tutto infine per suonare la chitarra sui brani di Robert Johnson. Cos’hanno di speciale i brani di RoJo? Niente, solo che stanno in piedi in qualsiasi modo li/le/la si canti, in qualsiasi modo la chitarra sia suonata o percossa, sia accarezzata o strapazzata. Persino se la suona Poëbau. Ecco, se volete una definizione, Poëbau è un errante. Come erratico è il tempo delle sue canzoni.
Non diciamone male, non malediciamolo. Finita è la stagione dei poeti maledetti, adesso è tempo degli erranti, coloro che sbagliano ma non recedono dal cercare il sentiero.
Dal punto di vista tecnico, la musica di Poëbau è affatto ingenua. Le istruzioni elementari di Pete Seeger non sono così elementari; al contrario, dal nulla aprono la porta dell’infinito. Un infinito dove troviamo la rilettura steineriana di Oddone e Zaffurio, per equivalenza tra le note e i metalli dell’alchimia. Da Gurdjieff viene mutuata l’idea delle note da un semitono (Mi e Si) come punti di fuga e, senza dover andare ai sistemi complessi di Michael Meier di Atalanta fugiens o di J.S. Bach, restando sul semplice troviamo approdo per comprendere il sistema dei contrasuoni, cioè l’opposizione di accordo ad accordo, dove ogni singolo accordo è utilizzato come accento ecfonetico e la distanza tra un accordo e quello che lo segue è il valore psicologico che viene trasmesso dalla pausa e dalla musica che così incornicia il silenzio. In questa breve sezione c’è tutta l’idea musicale di Poëbau, che lui stesso ha spiegato nel suo libro, che ha per titolo Contrasuoni proprio come la raccolta di brani cui si accede cliccando sull’immagine sopra. Il libro, ci assicura Poëbau, sarà presto disponibile.
A volte originalissimo, spesso traduttore di poeti, altre volte talmente radicale nelle interpretazioni da andare completamente altrove, probabilmente in cielo con la refurtiva e un nuovo amore, oppure – e più frequentemente – all’inferno da solo e disperato, Davide Poëbau è sempre lui, con i suoi molti difetti e imprecisioni, ma anche i suoi saldi e indiscutibili pregi.
