Dal ciclo di Edipo, “Antigone”

Amenanos Festival 2024 ha debuttato con “Sette contro Tebe” e prosegue in linea diretta con “Antigone“. La combinazione è assolutamente significativa sotto il profilo della perfetta sequenzialità dei due racconti, che sviluppano due episodi della stessa storia, per quanto “Sette contro Tebe” sia una tragedia scritta da Eschilo, mentre l’autore di “Antigone” è Sofocle.

Questa combinazione dà valore al principio formativo e didattico che permea l’idea di Amenanos Festival (Produzione Associazione Culturale Di.De, Michele Di Dio), mettendo in sequenza diretta la vicenda dei figli di Edipo (Eteocle e Polinice), che è al centro del conflitto che anima “Sette contro Tebe“. Dopo che i due contendenti si sono uccisi l’un l’altro, inizia “Antigone” con il tema del conflitto tra la giustizia e la legge: la trasgressione del divieto di dare sepoltura al corpo di Polinice, è l’oggetto della condanna di Antigone, che trascina il doppio attraverso il confronto/specchio con la sorella Ismene.

In questo modo, l’edizione 2024 del Festival Amenanos offre un’interessantissima operazione di conoscenza diretta di due testi che raccontano fasi diverse della stessa storia – il destino della stirpe di Edipo – mediante due opere che mettono a confronto lo stile di Eschilo con quello di Sofocle, e la trasposizione speculare a coppia di temi della coscienza e della psiche che dal maschile (Eteocle/Polinice) si traspongono al femminile (Antigone/Ismene).

Cinzia Maccagnano, cui è affidata la regia, è anche sulla scena, interpretando il ruolo di Creonte, che esprime con adeguato timbro vocale, incline a rappresentare tanto l’ostinata durezza ostentata in pubblico quanto la debolezza e il dubbio nei momenti privati.

Antigone, interpretata da Giulia Galiani (al centro nella foto), esprime la determinazione risoluta di sfidare Creonte, rifiutando di estendere la responsabilità dell’aver trasgredito l’ordine di non dare sepoltura a Polinice alla sorella Ismene (Maria Chiara Pellitteri, a sinistra nella foto), che ha il compito di amplificare emozionalmente l’incomprensibilità di un decreto ingiusto.

Notevole anche la scena del dialogo tra Creonte e il figlio Emone (Valerio Santi), che avrebbe dovuto a breve sposare proprio Antigone. Il confronto parte con dolcezza che presto si complica e si attorciglia, fino ad accartocciarsi in un irreparabile conflitto. Il suicidio di Emone è la conseguenza di questa crudeltà, cui segue l’amplificazione di questo dolore nella prostrazione di Euridice (Marina La Placa) ed il crescere delle incertezze di Creonte.

L’ingresso in scena dell’indovino Tiresia (Rita Fuoco Salonia) dirada le nebbie del dubbio come può fare un oracolo: complicando il quadro e rivestendolo di mistero e coprendolo ancora con il manto del destino.

Il Coro e i caratteri – la Guardia (Alessandro Romano), i Tebani (Federico Fiorenza, Alessandro Mannini), il Messaggero (Tommaso Garré), Erebo (Raffaele Gangale) – hanno bene sostenuto il ritmo della narrazione, svolgendo la funzione di estendere e universalizzare questa catarsi, che trova un elemento figurativo d’effetto mediante la proiezione sui fondali del teatro delle visualizzazioni fatte mediante mandàla di sabbia da Stefania Bruno.

La scelta di costumi (Vincenzo La Mendola) dove domina il bianco, sottolinea la purezza dell’idea di giustizia che alimenta la fiamma interna ed eterna che anima Antigone. Bianco, ma volutamente troppo luccicante è anche il costume di Creonte, come il suo volto è truccato diversamente per le due metà. Le luci di Elvio Amaniera sottolineano le transizioni dei diversi momenti del dramma, virando ora al rosso, ora al blu, con effetto emozionale. Da apprezzare anche il lavoro di equalizzazione audio (Angelo Zizza).

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