Canzoneri de’ picciriddi (contro ogni guerra)

Giovanni Canzoneri è un Autore che Fondazione M accoglie sempre, perché nella sua poesia c’è un crisma di necessità.

Beninteso: c’è anche un io soggettivo, una volontà di affermazione, il desiderio di scrivere una riga e farla permanere in questo mondo che forse non ha senso e che tuttavia ci sollecita tutti a dire «io» e «mio», ad essere, ad esistere, anime individuali. C’è qualcos’altro però, dove c’è un po’ d’arte: e questo caso è interessante al rovescio e al diritto, nel rovescio del diritto di questi anni, in quest’ epoca che trascolora nel mesto tramonto di una stagione che delle conquiste dei diritti ormai non trattiene che uno sbiadito ricordo.

Al presente, l’arte di Canzoneri, la sua poetica, volutamente, non ha nulla di sofisticato: al contrario, è semplice diretta schietta tagliente come lama di rasoio. Per coglierla bisogna guardarla con occhi di bambini, Occhi di picciriddi, come appunto ha nome questa raccolta. Il brano che le dà titolo è dedicato ai bambini, a tutti i bambini vittime delle guerre.

Non c’è nessuna retorica né una tesi politica predeterminata: semplicemente la constatazione dell’orrore della guerra e lo sguardo che trasalisce per l’orrore. Ci sono creature immonde che attraverso la guerra si arricchiscono – cui, per inciso, è giusto ricordare che moriranno anche loro e dovranno scontare ciò che hanno causato.

La guerra non è voluta dalla gente comune. Ognuno non vuole che vivere. La guerra è causata dal potere. E il potere è sempre ingiusto. Come cantava De André: «Ma come si fa ad esser così coglioni / da non capire che non ci sono poteri buoni?» Da parte sua, Giovanni ci dice: «Nun nnì scurdari / nun ti scurdari, / duna giustizia a sti vuccati amari. / Nun nnì scurdari, nun ti scurdari, / nun lintari di luttari».

Tornando alla poesia e ai suoi ingredienti, dall’introduzione di Nella Condorelli si potranno ricavare tutte le dimensioni di retroscena della poetica di Canzoneri: i riferimenti, i nomi aurei della grande tradizione di “poesia artigiana”, di cui s’intendono tutti i riverberi, da Ignazio Buttitta a Matilde Politi, da Alfio Antico a Rosa Balistreri.

Del resto, Giovanni non rinuncia ai suoi temi di sempre come quando, in TerroNista, evoca le stragi nere di Castiglione, di Canicattì, di Portella della Ginestra, e ancora (MI121269) di Piazza Fontana. Nel volume si troverà anche una lettera di Licia Rognini Pinelli che testimonia, con grazia e discrezione, accanto allo strazio pubblico causato da queste “stragi di stato”, un dolore privato.

Giovanni dichiara, senza tema di dubbio, una verità storica ormai risaputa: «Li cumpagni lu vuciavanu / Ca li bummi su d’i patruna».

Giunge questo libro in tempo per il 25 Aprile, per ricordare – in questa stagione sgualcita e corrosa dalla ridicola morte parlamentare della sinistra – cos’ è memoria, cos’ è emancipazione.

«Non ci sono guerre giuste» scrisse il frainteso Ezra Pound. Le guerre sono strumento di guadagno per i molto ricchi; privazione e devastazione per la gente comune. Per questo l’ unico soldato coraggioso è Il disertore, cantava Boris Vian (qui in Italia, tradotto da Giorgio Calabrese e interpretato, tra gli altri, da Paoli e Fossati oltre che, con diversa traduzione, dal “nostro” Gorgia).

Grazie Giovanni per i tuoi versi. Verso l’intelletto d’amore, verso la luce dirigiamo lo sguardo. E diffidiamo di iene e sciacalli, carogne e animali immondi. Non c’è bisogno di odio, lasciamoli al loro inferno. Siamo tutti creature transitorie. Intoniamo canti di pace.

Occhi di picciriddi, cu cchisti taliamu. Semplici comu li palummi, ma ccu prudentia comu fannu li serpenta.

Un commento

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.