Oltre la Morte, la Nascita

Chi volesse avere una conoscenza sulla letteratura sacra che tratti quel che accade dopo la morte, saprà già che i testi classici sono i cosiddetti “Libri dei Morti”: il Tibetano e l’Egiziano. Solitamente, questi due libri vengono presentati come diversi e teoreticamente incompatibili. Non è affatto così. E sarebbe bene utilizzare comparativamente anche un Libro Ebraico, il Sefer Gilgulim. Quest’ultimo, come in fondo anche gli altri già menzionati, non è tanto un “Libro dei Morti” quanto un libro di come si giunge alla nascita.

In questo articolo, proveremo a darne dimostrazione e, per farlo, partiremo dal più grande deposito di informazioni, che è il Libro Tibetano.

Dovremo notare in primo luogo che questo libro è, tecnicamente per forma letteraria, un tantra. Questo significa indubbiamente che si tratta di un testo collegato al tema dell’energia sessuale. Mentre altri tantra hanno per oggetto l’atto sessuale in sé, qui si giunge all’insegnamento nascosto del mistero che conduce alla nascita.

Come gli altri tantra – e contrariamente alla concettualizzazione occidentale, che ha sempre l’approccio dell’ascensione – il racconto non è quello di una risalita, ma di una discesa: la verità discende in più emanazioni, per dare il tempo al soggetto di essere compresa. Così, se dopo la chiara istruzione di un “primo dischiudimento”, il soggetto non ha ancora compreso, si dà una nuova opportunità, un “secondo dischiudimento”. Se ancora, malgrado la chiarezza del messaggio, il soggetto non ha compreso, si offre un “terzo dischiudimento”.

Questa è la sequenza degli eventi che accadono dopo la morte, secondo i Libri della Tradizione.

Non appena la tensione del corpo si è rilasciata e il soggetto ha accettato la morte, una fulminea visione di luce si manifesta. E’ talmente intesa che può fare paura, il soggetto difficilmente si sente pronto. E’ la luce del primo Bardo, il Grande Dharma.

Questa intensità non dura a lungo, e presto viene sostituita dal “Puro Corpo Illusorio”, attraverso il quale il soggetto ha la possibilità di visitare luoghi cari, per congedarsi da questi e rasserenarsi, vedendoli da un punto di vista nuovo e privo di costrizioni.

Anche questa condizione non permane a lungo, e presto giunge il terzo Bardo, del corpo mentale, dove tutto ciò che appare è proiezione delle tendenze inconsce.

I Cinque Buddha del Terzo Bardo

La fase del terzo Bardo è detto duri quattro giorni e mezzo.

Il primo giorno si manifesta il Buddha bianco, Vajrochana, nella luce azzurra vibrante detta Skandha. Ogni cosa si manifesta nella sua purezza. L’anima che lascia il corpo e si affida è liberata. Tuttavia, dovrà seguire il passo veloce di Vajrochana, e non la tenue luce bianca degli dèi illusori, altrimenti resterebbe vincolata al Bardo del Divenire.

Se l’anima non riesce ad affidarsi e non si fa ingannare dagli dèi illusori, il secondo giorno apparirà il Buddha blu, Aksobhya, il Sattva dei Vajra, circondato dalla luce azzurra. Se l’anima lascerà il corpo per seguire il passo veloce di Aksobhya, sarà liberata. Ma non dovrà farsi ingannare dal fumo degli dei delle sfere infere, altrimenti scivolerà nel Bardo del Divenire.

Il terzo giorno, se l’anima non è riuscita ad affidarsi e non ha commesso l’errore di scivolare nel fumo, apparirà il Buddha giallo Ratna, il Sattva dei Sambhava. La luce azzurra questa volta non è vibrante e decisa, ma tenue e ingannevole. Chi seguirà questa luce scivolerà nel Bardo del Divenire.

Se l’anima non è riuscita a seguire il Buddha e non ha commesso l’errore di scivolare nella luce tenue, apparirà il quarto giorno il Buddha rosso, Amitabha, colui che offre la pura percezione e la comprensione del vuoto di ogni realtà provvisoria. Se l’anima lo seguirà, saprà camminare al suo passo. Ma non deve scivolare nella tenue luce gialla, che lo porterebbe al Bardo del Divenire.

Se l’anima non sa come seguire il Buddha perché è ancora attratta dalla sua antica casa, e non riesce ad abbandonare il corpo, il quinto giorno apparirà Amogasiddhi, il Buddha verde della saggezza che compie perfettamente le azioni. Questo Buddha risveglierà l’anima per fargli compiere semplici gesti rituali che hanno il potere di libererla dal corpo. L’anima non dovrà farsi ingannare dalla tenue luce rossa, che la riporterebbe nel Bardo del Divenire.

Se ancora tutto questo non è bastato e l’anima non ha commesso l’errore di seguire le luci fatue, il sesto giorno i Cinque Tathagata si manifesteranno insieme come qualità dell’Unico Adi-Buddha. E’ una luce che irrompe dai quattro varchi dei punti cardinali, che induce l’anima a un sacro terrore. Appariranno i Sei Saggi: Indra, signore dei riti e dei sacrifici; Vema, signore degli dèi gelosi; il Leone degli Shakya, saggio degli esseri umani; Dhruvasinha, saggio degli esseri animali; Dharmaraja, saggio delle sfere infernali. Questo terrore è necessario perché l’anima si risvegli e comprenda il suo cambiamento di stato: nulla può farle male, suo compito è soltanto scegliere.

Il settimo giorno si aprirà la sfera degli spazi ristretti e l’anima potrebbe scivolare nel Vidyadhara, il pendio della vita animale.

Se questo non accade e l’anima resiste, l’ottavo giorno, il primo della nuova settimana, inizia il Bardo delle Divinità Infuriate. E’ qui che il Libro Tibetano manifesta una assonanza importante con il Libro Egiziano. Perché da questo terrore si apre la strada che conduce l’anima innanzi al Re del Dharma o, come leggiamo nel CXXV capitolo del Papiro di Ani, all’ingresso alla Sala di Maat.

L’anima, oppressa dal terrore, prova adesso meraviglia nell’essere approdata nel luogo delle cose nascoste, nella casa di Osiride, dove i piloni sono spiriti viventi. Dalle loro fiamme si forma una Fenice che offre incensi al tavolo rituale. I 42 dei vengono per assistere alla pesa dell’anima, che è necessitata a una dichiarazione di innocenza.

Psicostasia: pesatura del cuore rappresentata su cofanetto per Ushabti datato 950 a.C. circa, che riproduce la descrizione geroglifica del capitolo CXXV del Papiro di Ani. Custodito al Museo del Louvre. Attribuzione Wiki

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L’anima, secondo la sua dignità, viene dunque inviata al Bardo del Divenire (Samsara), dove per 49 giorni potrà aggirarsi con un corpo mentale, desiderando un corpo vero, assistendo come in proiezione alla visione di uomini e donne in accoppiamento. Secondo la dignità e secondo il tempo rimanente, l’anima non deve necessariamente entrare in qualsiasi utero ma può scegliere, e dovrà scegliere un luogo dove il Dharma fiorisce.

E’ qui che la dottrina incontra la tradizione ebraica del Sepher ha-Gilgulim. Gilgulim è un termine molto prossimo a Samsara, non solo per l’allitterazione interna delle radici (gil-gul e sam-sar). Secondo questo sapere tradizionale, che interviene sullo stato del “Terzo Bardo”, l’embrionato non riguarda soltanto l’anima individuale, ma un più complesso sistema transgenerazionale. Per la tradizione ebraica, ogni singola persona, uomo o donna, è radicalmente nuova e tuttavia non lo è. Inoltre, è destinata a portare con sé l’embrione di altre anime che rinascono psichicamente nella persona, per risolvere ciò che non sono riuscite a superare in vita e nei passaggi cruciali dei primi quattro giorni e mezzo dopo la morte.

Sepher Shaar ha-Gilgulim (Source: Alchetron)

E’ intorno ai 13 anni (quando cioè si è bar-mitzvah) che la persona riceve il suo primo embrione aggiuntivo. Intorno ai 20 anni, secondo le inclinazioni, viene il secondo embrione. A 40 giunge il terzo. Questi tre elementi psico-animici aggiuntivi non devono restare identici per l’intera vita. Talora accade che uno di questi abbia bisogno di veramente poco per liberarsi, e allora può lasciare spazio ad un altro, che verrà secondo le inclinazioni. In genere, il primo embrione appartiene alla cerchia stretta e prossima nel tempo; il secondo allarga il raggio nel bene e nel male, secondo inclinazione; il terzo può avere carattere plurisecolare.

Le anime prigioniere delle scorie non possono tornare subito al mondo, dovendo subire cicli animali, vegetali o minerali, a seconda della dignità. Tutto ciò che è nel mondo ha natura spirituale.

Superando le differenze linguistiche e le diverse linee estetiche con cui è ricostruita l’immaginazione intesa come proiezione simbolica, si riconosce una linea di identità nella identificazione di un nucleo archetipale degli eventi, qui ricostruito nella massima sintesi e chiuso nell’affermazione che tutto ciò che esiste ha natura spirituale.